23 luglio 2016

Santa Cristina di Bolsena protegge Sepino (Campobasso)

Di Franco Valente

24 luglio 2009

francovalente.it


Come per tutti i santi più antichi, anche per Santa Cristina non è facile ricostruire le sue vicende terrene. Anzi, pare sia più semplice sapere cosa abbia fatto da morta che non da viva, grazie ai numerosi miracoli che le vengono attribuiti.

Alcuni di essi sono documentati dagli ex-voto che si trovano nella chiesa a lei dedicata nell’abitato di Sepino, a cominciare da quello che Francesco Carafa volle ricordare in un quadro che ancora si conserva nella cosiddetta Cappella del tesoro.

Ma andiamo in ordine.

Di Santa Cristina esiste un’ampia e contraddittoria letteratura che porta a ritenere che siano la stessa persona la Cristina di Tiro, venerata in Oriente, e la Cristina di Bolsena venerata in Occidente.
Una “passio” che la stessa Chiesa cattolica definisce “tarda”, racconta la sua vita.


Figlia di Urbano, ufficiale di un non ben identificato palazzo e discendente della gens Anicia, all’età di undici anni venne rinchiusa dal padre in una torre perché, troppo bella, era desiderata da molti pretendenti.

Insieme a lei, in un ambiente in cui vennero poste numerose statue di divinità pagane fatte di pietre preziose, furono rinchiuse 12 serve che avevano il compito di sollecitarla a sacrificare agli dei.
Poiché si rifiutava, il padre cercò di persuaderla, ma la risposta fu la demolizione delle statue e la distribuzione delle parti preziose ai poveri.

Il padre a questo punto la fece incarcerare e torturare, ma Cristina fu irremovibile e venne guarita da tre angeli. Cristina allora venne presa e, con una pietra al collo, buttata nel lago da dove, per l’intervento di un angelo, fu salvata.

Subito dopo il padre cadde in malattia e morì. Cristina considerò il fatto come una punizione esemplare e ne rimase felice!

Le persecuzioni continuarono anche dopo la morte del padre. Venne flagellata, messa su una graticola sul fuoco, infilata in una fornace ardente ed esposta al morso di serpenti velenosi. Le vennero strappate le mammelle e, infine, fu martirizzata a colpi di lancia.

Per antica tradizione i suoi resti mortali furono posti a Bolsena nel luogo dove poi sorse la chiesa a lei dedicata.

Il culto per Santa Cristina era particolarmente diffuso in tutto il mondo cristiano e non è da escludere che anche per il suo corpo sia accaduto quanto è accaduto per altri. La traslazione delle reliquie potrebbe essere avvenuta, forse, in coincidenza o subito dopo il concilio di Nicea II quando, nel 787, fu fatto obbligo a tutti vescovi di inserire nelle chiese ossa di martiri.

Perciò è accaduto spesso che alla presenza fisica delle ossa in gran parte provenienti dall’Oriente cristiano, si sia sostituta la credenza che quei santi siano fisicamente vissuti da vivi nei luoghi in cui furono sepolti.

Furono proprio le traslazioni delle sue reliquie a legare Sepino alla storia della santa.
Gli spostamenti, i furti, le parziali restituzioni sono stati ricostruiti da Errico Cuozzo e Jean-Marie Martin nel loro volume sulle pergamene antiche dell’archivio di S. Cristina (E. Cuozzo e J.M. Martin, Le pergamene di S. Cristina di Sepino, Roma 1998).

La vicenda è affascinante e coinvolge personaggi che hanno fatto la storia del Meridione d’Italia al tempo dei Normanni.

Orbene se la vita della santa è avvolta nel mistero e poco credibile è la sequenza dei supplizi che le furono inferti, al contrario il culto per essa è documentato ampiamente e notevoli sono i prodigi che la tradizione attribuisce alle sue reliquie che al tempo di Guglielmo I d’Altavilla, re di Sicilia (1154-1166) furono rubate a Sepino e trasferite a Palermo.


La storia che ci interessa sembra avere origine dalla devozione che Ugo de Molisio ebbe per questa santa e dalle attenzioni che egli riservò per il Monastero di S. Croce di Sepino, da lui presumibilmente fondato e dotato, intorno al 1143, di un gran numero privilegi particolari e di beni materiali situati nell’ambito del nucleo urbano. Tra questi, forse, anche le reliquie di Santa Cristina. Tutto a beneficio delle anime di suo padre Roberto e dei conti Ugo I e Simone.

La vicenda della traslazione delle reliquie da Sepino a Palermo pare sia frutto di una leggerezza di Ugo II che trovandosi nella città siciliana insieme a sua moglie Adelaide d’Altavilla avrebbe raccontato al vescovo (che peraltro si chiamava anch’egli Ugo) che il corpo della santa si trovava nascosto “in terra sue ditionis” e più precisamente nel “castrum” di Sepino.

L’arcivescovo, meravigliato del fatto che il corpo di una santa così importante si trovasse in quel luogo, cercò di conoscerne il motivo.

Ugo spiegò che un sacerdote di una piccola chiesa (ecclesiola) di Sepino, essendo gravemente malato chiese ad un suo confratello romano di trovargli delle reliquie miracolose. Questi si recò a Bolsena e rubò il corpo di Santa Cristina.

Il sacerdote guarì e decise di trattenere a Sepino, in un luogo segreto, le reliquie rubate.
Sappiamo che Ugo II morì nel 1160 proprio a Palermo dove però continuò a vivere sua moglie Adelaide d’Altavilla.

È ragionevole pensare che subito dopo la sua morte il vescovo di Palermo abbia organizzato una missione, in accordo con la stessa Adelaide, per andare a rubare le ossa di Santa Cristina a Sepino e trasferirle, come di fatto accadde, in “archa argentea” fatta realizzare per l’occasione a Palermo.
Ma l’iniziativa in qualche modo è una conferma che in Palermo il culto per Santa Cristina fosse già ampiamente diffuso. Una occasione come quella della presenza di Adelaide vedova del titolare della contea in cui si conservavano le sue reliquie non poteva essere sottovalutata perché non si approfittasse per venirne in possesso.

Però per la traslazione delle reliquie di Santa Cristina da Bolsena a Sepino esiste un’altra storia, sicuramente meno credibile di quella dell’epoca di Ugo anche se ha avuto più credito nella tradizione popolare.

Una storia, che non trova alcuna documentazione scritta, racconta che le ossa di Santa Cristina sarebbero giunte a Sepino ad opera di due pellegrini che le avevano rubate a Bolsena per portarle con loro in un viaggio che aveva come tappa finale Gerusalemme.

Giunti in un porto dell’Adriatico, non essendo riusciti a salpare, decisero di abbandonare l’impresa e tornare indietro. Passando per Sepino raccontarono dei prodigi e dei miracoli che avvenivano per intercessione di Santa Cristina, sicché i Sepinesi impedirono che le sue ossa proseguissero il viaggio e le posero in una chiesa che le fu dedicata. Questo episodio sarebbe accaduto nel gennaio del 1099.

Ma se poco si può aggiungere al racconto delle traslazioni delle ossa, certamente molto di più si può dire delle opere che fiorirono attorno alla piccola reliquia del braccio della santa che qualche tempo dopo da Palermo fu riportata a Sepino a parziale ristoro del primo furto.

Nella cappella Carafa, che si apre nella navata di destra della basilica, si conserva un quadro dell’inizio del XVII secolo dove si vede una donna malata che viene assistita dal marito e da altri parenti. In alto appare l’immagine di Santa Cristina mentre una familiare si avvicina all’ammalata con la reliquia  della santa.

Tutto lascia supporre che si tratti di Lucrezia Caracciolo, moglie di Francesco Carafa della Stadera, che si fa ricordare anche in una lapide del 1630 posta nel presbiterio della chiesa per devozione a S. Antonio di Padova.


Certo è che dal 1609 Francesco Carafa si applicò alla costruzione della cappella in cui fece porre il busto argenteo della santa che da allora ancora viene portato in processione e che, da lui commissionato, conserva al suo interno un altro reliquiario costituito dal braccio argenteo con la reliquia di Santa Cristina.

Oggi la cappella, nonostante i crolli e le trasformazioni relativamente recenti, è uno scrigno di capolavori splendidamente tenuto dal parroco don Antonio Arienzale.

Tra essi fanno spicco i busti-reliquiari di S. Andrea apostolo che regge i pesci nella mano destra, S. Filippo , S. Giacomo maggiore, S. Giovanni Battista con la pelle di cammello e l’agnello in braccio, S. Sebastiano legato mentre mantiene una freccia, S. Biagio con il pettine di ferro, S. Nicola con le tre palle d’oro appoggiate sul libro, S. Antonio abate con il fuoco che arde , tutti magnificamente realizzati in rame sbalzato ed argentato in botteghe napoletane tra la fine del XVII secolo e l’inizio di quello successivo.

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