11 luglio 2016

Chi è quel bravo violinista? La parabola artistica e umana di Lorenzo Perosi

Di Marcello Filotei
10 gennaio 2008


La parabola artistica e umana di Lorenzo Perosi, maestro della Cappella Sistina dal 1898 fino alla morte nel 1956. Intervista ad Arcangelo Paglialunga.
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«Se Perosi non fosse il grande musicista che è, potrebbe guadagnarsi la vita alla stazione Termini dando informazioni sulle partenze dei treni». Con il sarcasmo che certo non gli mancava Trilussa sintetizzò così la diceria secondo la quale don Lorenzo – maestro della Cappella Musicale Pontificia Sistina dal 1898 fino alla morte nel 1956 – avrebbe conosciuto a memoria l’orario delle ferrovie. Lo racconta Arcangelo Paglialunga, il più longevo giornalista della Sala Stampa della Santa Sede, che col maestro di Tortona ebbe una lunga frequentazione.
In realtà, ricorda il vaticanista testimone di cinque conclavi, Perosi teneva a mente gli orari delle tratte che utilizzava in gioventù per andare a Venezia, a Torino, a Parigi o a Ratisbona, dove aveva studiato con Michael Haller alla Kirchenmusik Schule. L’originale attitudine era oggetto di battute da parte di Giacomo Puccini, che veniva a trovare il maestro della Sistina ogni volta che passava per Roma. «Scusa, devo andare a Lucca, che treno mi conviene prendere?», gli domandava scherzando e don Lorenzo giù a sciorinare gli orari di espressi e rapidi.

Lei parla di Puccini, ma quali erano in generale i rapporti con i musicisti del suo tempo?
Conosceva tutti e con alcuni i rapporti erano frequenti. Pietro Mascagni, ad esempio, gli telefonava spesso, lo stimava e promosse l’esecuzione di due Salmi. Era anche presente alla prima esecuzione assoluta dell’oratorio La Risurrezione di Cristo il 13 dicembre 1898 nella chiesa dei Santi Apostoli. «Alla fine del concerto – mi raccontò il maestro – prima di salire sull’altare per raccogliere gli applausi del pubblico, salutai tredici cardinali, ma il sangue mi si gelò quando vidi che in quarta fila era seduto Mascagni», già popolarissimo per la Cavalleria rusticana. Col tempo i due diventarono amici. Perosi stette molto vicino a Mascagni in occasione di un lutto, in Vaticano sono ancora conservate le lettere che si scambiarono. Don Lorenzo si divertiva molto ascoltando Mascagni raccontare le due udienze che Pio XII gli aveva concesso. Il Papa, raccontava il compositore, un giorno lamentò «un certo calo dell’ispirazione in alcuni punti della Cavalleria rusticana». Mascagni, riportando l’appunto a Perosi, ricordava di avere annuito, ma senza esserne per niente convinto. Le battute tra i due erano continue e le telefonate, soprattutto, erano divertenti. Una delle tre sorelle di don Lorenzo mi raccontava che Mascagni chiamò una volta Perosi chiedendogli la partitura del Giudizio universale, che avrebbe voluto studiare. «Mi interessa molto – disse – anche se è un Giudizio senza giudicati». «Con tutti quegli ammazzamenti che ci sono mi sembra che anche la tua Cavalleria sia senza cavalieri», gli rispose Perosi.
E con Puccini?
Puccini ogni volta che passava a Roma veniva a visitare don Lorenzo, lo stimava e ci sono ancora i telegrammi di congratulazioni che gli ha inviato dopo l’esecuzione dei grandi oratori e dopo l’eccezionale accoglienza del poema sinfonico vocale Mosè, diretto in prima esecuzione da Toscanini il 16 novembre del 1901. A seguito di quel successo, in molti credettero che Perosi si stesse accingendo alla scrittura di un’opera lirica, in particolare ad un Romeo e Giulietta che in realtà non fu mai nemmeno abbozzato. In quell’occasione si racconta che Mascagni disse scherzando a Puccini: «Se questo comincia a scrivere opere siamo fritti».
Perché ricordare il maestro all’Oratorio Secolare di San Filippo Neri?
Poco dopo l’esecuzione de La Risurrezione di Cristo Leone XIII nominò Perosi direttore della Cappella Sistina, accanto al direttore in carica Domenico Mustafà. I due furono subito in disaccordo, soprattutto perché Perosi fece capire che intendeva inserire nella cantoria musici bambini che sostituissero gli uomini che cantavano in falsetto. Lui li aveva già aboliti nella Cappella Marciana e intendeva fare lo stesso alla Sistina. A seguito del dissidio, Perosi si allontanò dalla Sistina e vi tornò nel 1903, dopo le dimissioni di Mustafà. Nel frattempo andò ad abitare a via di Monte Giordano, vicino alla Chiesa Nuova, nel Palazzo Taverna. Proprio di fronte c’è Palazzo Pediconi, in via degli Orsini, da dove sentiva arrivare un suono di violino. Don Lorenzo un giorno chiese chi fosse il violinista. Gli risposero che a suonare era un sacerdote romano, si chiamava Eugenio Pacelli. Chiese di conoscerlo e il futuro Pio XII, che lo ammirava come musicista e aveva assistito al concerto del 1898, accettò. Nacque un’amicizia e per diverso tempo don Lorenzo e don Eugenio andarono a celebrare la Santa Messa assieme alla Chiesa Nuova, in altari separati. Pacelli ha sempre voluto bene a don Lorenzo, lo seguì sempre, e quando Perosi morì fu lui a volere che il funerale si celebrasse nella Basilica di San Pietro, mi ricordo che fu nella crociera di sinistra.
Ma come fece lei ad avere un contatto così diretto con Perosi?
Io ero uno dei giovani della parrocchia di Santo Spirito in Sassia. Una mattina vidi il parroco che parlava con un vecchio signore. Era Marziano Perosi, il fratello di don Lorenzo, il quale stava chiedendo al parroco se ci fosse un ragazzo disposto ad accompagnare il maestro nelle sue passeggiate. La scelta ricadde su di me, che conoscevo Perosi di nome e amavo la musica. Ovviamente accettai subito. Fu così che per quattordici anni ogni giorno, nel pomeriggio, abbiamo passeggiato assieme. Era un’ottima occasione per parlare perché Perosi amava camminare in solitudine e questo mi dava la possibilità di intrecciare lunghe conversazioni. Solo una volta alla settimana passavamo tra la gente, il mercoledì, quando don Lorenzo andava a confessarsi a Sant’Ignazio. Entravamo in chiesa e lui andava dritto al secondo confessionale a destra, dove c’era un gesuita. Durante le passeggiate mi raccontava tante cose, che ho annotato nei miei diari. In primo luogo ho verificato che aveva un curioso modo di comporre: ad un certo momento della passeggiata smetteva di parlare, io sapevo che stava pensando ad una pagina che doveva scrivere. Mi aveva infatti raccontato che il suo maestro Haller gli aveva sempre raccomandato: nulla dies sine linea. Lui, in età avanzata, aveva mutato il detto in nulla dies sine pagina, ed era determinato a comporre almeno una pagina al giorno. Con questo metodo, scrivendo sostanzialmente di getto e senza correzioni, oltre agli oratori e alle cantate compose sette suite sinfoniche e diciotto quartetti dei quali due andati perduti. Passava la giornata scrivendo musica, pregando e ascoltando la radio. Quando gli si ruppe l’apparecchio dovetti portargliene subito un altro, perché non riusciva a stare senza. Gli piaceva ascoltare la musica degli altri, in particolare quella di Ottorino Respighi, che riteneva un grandissimo compositore.
Scrisse molto, ma non tutta la sua produzione fu pubblicata, ci sono molte opere ancora inedite.
Era difficile che Perosi rifiutasse di comporre quando glielo chiedevano e molte cose sono rimaste nelle mani degli amici. Una volta io stesso lo pregai di dedicarsi ad un lavoro. Era infatti venuto da me un sacerdote del Pontificio Seminario Romano Maggiore che aveva espresso il desiderio di avere una composizione di Perosi. Il maestro chiese che gli venisse fornito un testo e io gli reperii alcuni versi dedicati alla Madonna della fiducia. Una delle sorelle del maestro mi disse «lasci il foglio sul tavolo, perché il maestro non può scrivere adesso». Lui invece prese il testo e andò nella sua stanza. L’indomani mi dette la partitura rimasta inedita (che pubblichiamo n.d.r.), sulla quale aggiunse la dedica «ad Arcangelo Paglialunga con preghiera di non imparare niente da questa musica».
Ma le richieste non finirono lì?
Quando al Pontificio Seminario Romano Minore seppero che Perosi aveva scritto questa musica per il Maggiore, chiesero una composizione anche per loro. Venne da me monsignor Giovanni Fallani – dal 1956 al 1985 direttore della Pontificia Commissione Centrale per l’Arte Sacra in Italia – che, dopo avere incontrato don Lorenzo due o tre volte, gli offrì una sua poesia dedicata alla Madonna della perseveranza. Perosi si disse disposto a comporre su quel testo, ma per voce di soprano ed arpa. Dopo pochi giorni completò il lavoro, ma i seminaristi non poterono mai cantarlo, perché è una lirica che richiede qualità virtuosistiche.
Una generosità che mette a rischio l’effettivo reperimento di tutti i lavori del compositore.
Il maestro Arturo Sacchetti sta curando l’opera omnia di Perosi, che dovrebbe comprendere anche brani non pubblicati, ma difficilmente si riuscirà a recuperare tutto. Per esempio c’è una Messa a sei voci dedicata a Santa Scolastica e intitolata Emicat meridies, che non si riesce ad avere perché è nelle mani di una persona che non intende renderla pubblica. Io ho donato tutti gli inediti in mio possesso, molti dei quali ho copiato su indicazione di don Lorenzo prima che l’originale fosse donato ai destinatari. Non escludo però che tra le mie carte ci sia ancora qualcosa. Per esempio negli ultimi tempi ho ritrovato un lavoro con un’indicazione precisa di Perosi: «Questo mottetto l’ho scritto il 3 luglio del 1923 a Ponzano Romano». In questo paesino c’era una piccola cantoria di uomini e il parroco, approfittando della presenza di don Lorenzo, gli chiese una piccola composizione. Lui la scrisse subito, ma si riservò di scegliere il testo. Il titolo del pezzo, che io ho copiato dall’originale, è Spe enim salvi, un richiamo alla lettera di san Paolo ai romani, lo stesso con cui Benedetto XVI apre la sua enciclica.
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