18 ottobre 2017

La storia dimenticata dei monaci del Volturno massacrati dai saraceni

Di Alfredo Incollingo

11 ottobre 2017

barbadillo.it


Il 10 ottobre 881 una banda di mercenari saraceni si riversò nella Valle del Volturno, in Molise, seminando morte e distruzione. La badia di San Vincenzo al Volturno, uno dei più grandi monasteri benedettini dell’Europa medievale, venne assaltato e i monaci massacrati. Le cronache locali, tramandate di generazione in generazione, hanno conservato la memoria dei martiri volturnensi. Il terrore spinse i coloni ad abbandonare le terre fertili e i villaggi per nascondersi nei boschi montani o per rifugiarsi nei castelli maggiormente difesi. Con la scomparsa dei benedettini la storia sembrò fermarsi: erano i monaci infatti a redigere il Chronicon Volturnense, mettendo per iscritto i fatti più salienti avvenuti nella valle. Nel 914 i frati ritornarono a ripopolare le rovine dell’abbazia, ma i tempi erano cambiati e la Terra di San Vincenzo aveva cambiato fisionomia. L’antico splendore era ormai perduto.


Portatori di civiltà

Quando la società occidentale decadde sotto i colpi delle invasioni barbariche, furono la Chiesa Cattolica e l’ordine monastico di San Benedetto da Norcia a salvaguardare i resti della civiltà romana. I monasteri benedettini furono isole di progresso e di cultura nel mare barbarico che aveva sommerso l’Europa. Dove si insediarono i confratelli di San Benedetto, le terre furono dissodate e le città risorsero dalle loro rovine. Interi territori, una volta deserti e abbandonati, furono colonizzati e conobbero un progressivo sviluppo. Nei monasteri si tramandava la cultura e la si faceva e così si salvò il meglio del pensiero antico.

La Terra di San Vincenzo

È quanto avvenne nella Valle del Volturno. Non ci fu mai un totale spopolamento dopo la caduta dell’Impero Romano, anche se il rapido declino economico ridusse drasticamente il benessere della popolazione. Gli abitanti della valle, i discendenti degli antichi Sanniti e dei nuovi arrivati longobardi, si ritirarono sulle alture per meglio difendersi dalle scorribande degli eserciti invasori. Paldo, Taso e Tato, i tre monaci benedettini che fondarono la badia nel 731, diedero inizio ad un grande progetto di rinascita culturale, politica e spirituale. La Terra di San Vincenzo conobbe una seconda vita, dopo la colonizzazione romana. Il monastero si impose nella Penisola e in Europa per prestigio e per ricchezza e le sue terre fertili facevano gola ai vicini signori feudali. Carlo Magno scelse San Vincenzo per trattare con i duchi longobardi e i cadetti delle nobili famiglie napoletane e del Centro Italia vi soggiornano per studiare nella scuola monastica.

I martiri del Volturno

Il 10 ottobre 881 fu un giorno devastante per la valle. Una banda di mercenari saraceni, pagati dai duchi napoletani, saccheggiarono e trucidarono novecento monaci. Solo 30 frati riuscirono a fuggire a Capua. Il Volturno si tinse di rosso per il gran numero di cadaveri che vi furono buttati. La distruzione di San Vincenzo, motivata da interessi puramente temporali, lasciò indifesi i tanti castelli fondati dai benedettini. La popolazione spaesata fu costretta a subire le angherie dei signori che si accinsero a predare un territorio ormai sguarnito.

Un pellegrinaggio per ricordare

I comuni della Valle del Volturno organizzano ogni 10 ottobre un pellegrinaggio devozionale per commemorare i martiri di San Vincenzo. Si parte da Montaquila, dove sono conservate le loro reliquie nella chiesa di Santa Maria Assunta, e si procede alla volta della località volturnense, seguendo l’antica via che attraversava la valle. Si raggiungono così Colli a Volturno, Scapoli, Castelnuovo e infine si arriva a San Vincenzo, dove i pellegrini sono raggiunti dai fedeli degli altri comuni volturnensi: Cerro a Volturno, Rocchetta a Volturno, Pizzone e Castel San Vincenzo. Per secoli gli abitanti della valle non hanno mai smesso di ricordare nelle loro devozioni tradizionali i novecento martiri trucidati dai saraceni. Nonostante le spinte centrifughe, dovute ad una massiccia migrazione nel Novecento, e quelle isolazioniste, tipiche dei piccoli comuni montani, il 10 ottobre è l’occasione per ricordare le comuni origini e preservare una memoria che è sempre più minoritaria.

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