In origine il suo nome era Malventum, città sannita centro di scambi molto intensi. Fu conquistata nel 268 a.C., da quei Romani che ne avevano compreso fin troppo bene l’importanza, da lì, infatti, partivano vie di comunicazione per tutte le direzioni: attraverso lo spartiacque dell’Irpinia (di cui presumibilmente era la capitale) fino alla Puglia, e ancora, lungo la vallata del Sabatus, verso Abellinum. Si dice oggi che tutte le strade portano a Roma, ma all’epoca dei Sanniti, certo esse portavano a Benevento. Insieme ad Isernia, la nostra città fu strategicamente fondamentale, per i Romani, nella lotta al dominio sul territorio dell’antico Sannio, sia nelle lunghe battaglie contro i Sanniti stessi, che si videro impedire ogni possibilità di comunicazione tra le diverse tribù, sia contro Pirro.
Fu in occasione dell’istituzione della colonia, che i Romani ne celebrarono l’annessione mutando il suo nome col più augurante Beneventum. Durante la guerra sociale, l’ultimo, quasi disperato, tentativo di ribellione dei Sanniti contro gli invasori, la città rimase praticamente inerme e sopita, senza fornire alcun concreto contributo alla lotta per la liberazione. […]
Proseguendo verso il Molise c’è Pontelandolfo, che fu teatro della famosa deportazione dei Liguri Bebiani ad opera dei Romani. Fu in quella zona che sorse così il Pagus Herculaneum, un’area fertile e rigogliosa che permise secoli di vita florida, fino all’arrivo, nel IX secolo, dei Saraceni.
Nel 180 a.C. furono i proconsoli romani P. Cornelio e M. Bebio Tanfilo a condurre, in un esodo forzato, nelle vicinanze della Piana della Sorgenza, i Liguri Apuani, poi chiamati Bebiani, che fondarono poi il villaggio di Ercole. Gli abitanti del villaggio ebberro, ad ogni modo, una vita felice: la fertilità dei campi e la bontà dei pascoli assicuravano loro vitelli grassi ed ottimo vino per lauti banchetti, anche e soprattutto notturni, durante i quali musica e danze allietavano i partecipanti, dopo i bagni nelle acque termali del vicino Resicco, nei pressi del colle Montolfo.
La storia del paese prosegue con innumerevoli episodi, che ne hanno fatto teatro di epici accadimenti.
Nell’862 d.C., in una notte d’estate, i saraceni, con a capo il famigerato Sawdan, terribile e sanguinario, saccheggiarono il sito approfittando dell’inerzia dei goderecci abitanti, distruggendo ogni cosa. Una leggenda narra che i superstiti seppellirono i corpi martoriati delle vittime nella piena del torrente Alenticella. Quando i corpi erano stati inghiottiti dai flutti, un vortice separò le acque che ribollirono e da esse emerse maestosa Santa Teodora, che col suo celeste mantello fece da ponte tra le acque e la terraferma facendo resuscitare i morti.
Sulla Statale Benevento-Campobasso, infine, è visitabile Altilia, una delle innumerevoli colonie romane sorte in terra Sannita in seguito alle conquiste, prima repubblicane e successivamente imperiali, operate da Roma.
I sanniti erano un popolo che oggi si definirebbe “montanaro”. Tramandavano le loro tradizioni perlopiù oralmente, amavano il teatro comico-satirico e le danze popolari, erano guerrieri stoici, pastori di professione, geniali inventori, e soprattutto parlavano una delle vere lingue italiche: l’Osco, di cui ancora oggi si trova qualche sporadica traccia scritta, laddove lo sterminio dei romani non ha compiuto l’opera. Con i Sanniti i Romani furono particolarmente feroci. Basti pensare che la resistenza provocò una serie di scontri che durarono dalla metà del IV secolo a. C. fino praticamente alla guerra sociale, e contestualmente alla propaganda di “denazionalizzazione” portata avanti da Augusto, per integrare le popolazioni locali con il suo impero. Parliamo ormai dei primi anni dopo la nascita di Cristo, anche se il periodo più cruento fu quello dei continui scontri per l’egemonia sul territorio, passati alla storia come le tre Guerre Sannitiche, durate almeno sessant’anni.
Fu durante questi secoli che Pentri, Marsi, Irpini, Lucani, Apuli, Vestini, Marrucini, Frentani e Peligni, si difesero strenuamente per combattere l’invasore, perdendo solo a causa di un misero errore di valutazione, che li fermò per un paio d’anni, sufficienti a Roma per recuperare energie e riorganizzarsi, passando così alla conquista definitiva.
Le città sannite avevano mura perimetrali molto brevi. Raramente arrivavano ai due chilometri. Le cinte erano costruite con il caratteristico sistema dell’intersezione di pietre quadrangolari in senso obliquo. Le città sorgevano sui monti del Matese e sulle colline, ma dopo averle conquistate, i romani ne spostavano il nucleo originario a valle, in segno di sottomissione, e in modo da poter sfruttare la pianura.
Così successe anche a Saepinum, che a valle divenne appunto Altilia. Attualmente Sepino è provincia di Campobasso.
Il visitatore rimarrà quasi sconcertato dalla bellezza e dall’integrità dell’impianto, splendidamente mantenuto e costituito da una cinta di milletrecento metri, intervallati da ben ventinove torri e quattro porte, dove sono ancora perfettamente visibili la basilica, il forum, il macellum, diverse fontane, due stabilimenti termali, un teatro di tremila posti (di cui ben poco è rimasto in superficie, per la verità) il Decumano, le abitazioni, e tanto altro. Forse perché poco frequentata, Altilia rende un’atmosfera incantata, come se lì il tempo si fosse fermato e tutt’intorno il mondo fosse andato avanti. A monte di Altilia, si può ancora visitare l’antica Saepinum sannita.
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