Di
Marcello Filotei
10
gennaio 2008
La
parabola artistica e umana di Lorenzo Perosi, maestro della Cappella
Sistina dal 1898 fino alla morte nel 1956. Intervista ad Arcangelo
Paglialunga.
***
«Se
Perosi non fosse il grande musicista che è, potrebbe guadagnarsi la
vita alla stazione Termini dando informazioni sulle partenze dei
treni». Con il sarcasmo che certo non gli mancava Trilussa
sintetizzò così la diceria secondo la quale don Lorenzo – maestro
della Cappella Musicale Pontificia Sistina dal 1898 fino alla morte
nel 1956 – avrebbe conosciuto a memoria l’orario delle ferrovie.
Lo racconta Arcangelo Paglialunga, il più longevo giornalista della
Sala Stampa della Santa Sede, che col maestro di Tortona ebbe una
lunga frequentazione.
In
realtà, ricorda il vaticanista testimone di cinque conclavi, Perosi
teneva a mente gli orari delle tratte che utilizzava in gioventù per
andare a Venezia, a Torino, a Parigi o a Ratisbona, dove aveva
studiato con Michael Haller alla Kirchenmusik Schule. L’originale
attitudine era oggetto di battute da parte di Giacomo Puccini, che
veniva a trovare il maestro della Sistina ogni volta che passava per
Roma. «Scusa, devo andare a Lucca, che treno mi conviene prendere?»,
gli domandava scherzando e don Lorenzo giù a sciorinare gli orari di
espressi e rapidi.
Conosceva
tutti e con alcuni i rapporti erano frequenti. Pietro Mascagni, ad
esempio, gli telefonava spesso, lo stimava e promosse l’esecuzione
di due Salmi. Era anche presente alla prima esecuzione assoluta
dell’oratorio La Risurrezione di Cristo il 13 dicembre 1898 nella
chiesa dei Santi Apostoli. «Alla fine del concerto – mi raccontò
il maestro – prima di salire sull’altare per raccogliere gli
applausi del pubblico, salutai tredici cardinali, ma il sangue mi si
gelò quando vidi che in quarta fila era seduto Mascagni», già
popolarissimo per la Cavalleria rusticana. Col tempo i due
diventarono amici. Perosi stette molto vicino a Mascagni in occasione
di un lutto, in Vaticano sono ancora conservate le lettere che si
scambiarono. Don Lorenzo si divertiva molto ascoltando Mascagni
raccontare le due udienze che Pio XII gli aveva concesso. Il Papa,
raccontava il compositore, un giorno lamentò «un certo calo
dell’ispirazione in alcuni punti della Cavalleria rusticana».
Mascagni, riportando l’appunto a Perosi, ricordava di avere
annuito, ma senza esserne per niente convinto. Le battute tra i due
erano continue e le telefonate, soprattutto, erano divertenti. Una
delle tre sorelle di don Lorenzo mi raccontava che Mascagni chiamò
una volta Perosi chiedendogli la partitura del Giudizio universale,
che avrebbe voluto studiare. «Mi interessa molto – disse – anche
se è un Giudizio senza giudicati». «Con tutti quegli ammazzamenti
che ci sono mi sembra che anche la tua Cavalleria sia senza
cavalieri», gli rispose Perosi.
E
con Puccini?
Puccini
ogni volta che passava a Roma veniva a visitare don Lorenzo, lo
stimava e ci sono ancora i telegrammi di congratulazioni che gli ha
inviato dopo l’esecuzione dei grandi oratori e dopo l’eccezionale
accoglienza del poema sinfonico vocale Mosè, diretto in prima
esecuzione da Toscanini il 16 novembre del 1901. A seguito di quel
successo, in molti credettero che Perosi si stesse accingendo alla
scrittura di un’opera lirica, in particolare ad un Romeo e
Giulietta che in realtà non fu mai nemmeno abbozzato. In
quell’occasione si racconta che Mascagni disse scherzando a
Puccini: «Se questo comincia a scrivere opere siamo fritti».
Perché
ricordare il maestro all’Oratorio Secolare di San Filippo Neri?
Poco
dopo l’esecuzione de La Risurrezione di Cristo Leone XIII nominò
Perosi direttore della Cappella Sistina, accanto al direttore in
carica Domenico Mustafà. I due furono subito in disaccordo,
soprattutto perché Perosi fece capire che intendeva inserire nella
cantoria musici bambini che sostituissero gli uomini che cantavano in
falsetto. Lui li aveva già aboliti nella Cappella Marciana e
intendeva fare lo stesso alla Sistina. A seguito del dissidio, Perosi
si allontanò dalla Sistina e vi tornò nel 1903, dopo le dimissioni
di Mustafà. Nel frattempo andò ad abitare a via di Monte Giordano,
vicino alla Chiesa Nuova, nel Palazzo Taverna. Proprio di fronte c’è
Palazzo Pediconi, in via degli Orsini, da dove sentiva arrivare un
suono di violino. Don Lorenzo un giorno chiese chi fosse il
violinista. Gli risposero che a suonare era un sacerdote romano, si
chiamava Eugenio Pacelli. Chiese di conoscerlo e il futuro Pio XII,
che lo ammirava come musicista e aveva assistito al concerto del
1898, accettò. Nacque un’amicizia e per diverso tempo don Lorenzo
e don Eugenio andarono a celebrare la Santa Messa assieme alla Chiesa
Nuova, in altari separati. Pacelli ha sempre voluto bene a don
Lorenzo, lo seguì sempre, e quando Perosi morì fu lui a volere che
il funerale si celebrasse nella Basilica di San Pietro, mi ricordo
che fu nella crociera di sinistra.
Ma
come fece lei ad avere un contatto così diretto con Perosi?
Io
ero uno dei giovani della parrocchia di Santo Spirito in Sassia. Una
mattina vidi il parroco che parlava con un vecchio signore. Era
Marziano Perosi, il fratello di don Lorenzo, il quale stava chiedendo
al parroco se ci fosse un ragazzo disposto ad accompagnare il maestro
nelle sue passeggiate. La scelta ricadde su di me, che conoscevo
Perosi di nome e amavo la musica. Ovviamente accettai subito. Fu così
che per quattordici anni ogni giorno, nel pomeriggio, abbiamo
passeggiato assieme. Era un’ottima occasione per parlare perché
Perosi amava camminare in solitudine e questo mi dava la possibilità
di intrecciare lunghe conversazioni. Solo una volta alla settimana
passavamo tra la gente, il mercoledì, quando don Lorenzo andava a
confessarsi a Sant’Ignazio. Entravamo in chiesa e lui andava dritto
al secondo confessionale a destra, dove c’era un gesuita. Durante
le passeggiate mi raccontava tante cose, che ho annotato nei miei
diari. In primo luogo ho verificato che aveva un curioso modo di
comporre: ad un certo momento della passeggiata smetteva di parlare,
io sapevo che stava pensando ad una pagina che doveva scrivere. Mi
aveva infatti raccontato che il suo maestro Haller gli aveva sempre
raccomandato: nulla dies sine linea. Lui, in età avanzata, aveva
mutato il detto in nulla dies sine pagina, ed era determinato a
comporre almeno una pagina al giorno. Con questo metodo, scrivendo
sostanzialmente di getto e senza correzioni, oltre agli oratori e
alle cantate compose sette suite sinfoniche e diciotto quartetti dei
quali due andati perduti. Passava la giornata scrivendo musica,
pregando e ascoltando la radio. Quando gli si ruppe l’apparecchio
dovetti portargliene subito un altro, perché non riusciva a stare
senza. Gli piaceva ascoltare la musica degli altri, in particolare
quella di Ottorino Respighi, che riteneva un grandissimo compositore.
Scrisse
molto, ma non tutta la sua produzione fu pubblicata, ci sono molte
opere ancora inedite.
Era
difficile che Perosi rifiutasse di comporre quando glielo chiedevano
e molte cose sono rimaste nelle mani degli amici. Una volta io stesso
lo pregai di dedicarsi ad un lavoro. Era infatti venuto da me un
sacerdote del Pontificio Seminario Romano Maggiore che aveva espresso
il desiderio di avere una composizione di Perosi. Il maestro chiese
che gli venisse fornito un testo e io gli reperii alcuni versi
dedicati alla Madonna della fiducia. Una delle sorelle del maestro mi
disse «lasci il foglio sul tavolo, perché il maestro non può
scrivere adesso». Lui invece prese il testo e andò nella sua
stanza. L’indomani mi dette la partitura rimasta inedita (che
pubblichiamo n.d.r.), sulla quale aggiunse la dedica «ad Arcangelo
Paglialunga con preghiera di non imparare niente da questa musica».
Ma
le richieste non finirono lì?
Quando
al Pontificio Seminario Romano Minore seppero che Perosi aveva
scritto questa musica per il Maggiore, chiesero una composizione
anche per loro. Venne da me monsignor Giovanni Fallani – dal 1956
al 1985 direttore della Pontificia Commissione Centrale per l’Arte
Sacra in Italia – che, dopo avere incontrato don Lorenzo due o tre
volte, gli offrì una sua poesia dedicata alla Madonna della
perseveranza. Perosi si disse disposto a comporre su quel testo, ma
per voce di soprano ed arpa. Dopo pochi giorni completò il lavoro,
ma i seminaristi non poterono mai cantarlo, perché è una lirica che
richiede qualità virtuosistiche.
Una
generosità che mette a rischio l’effettivo reperimento di tutti i
lavori del compositore.
Il
maestro Arturo Sacchetti sta curando l’opera omnia di Perosi, che
dovrebbe comprendere anche brani non pubblicati, ma difficilmente si
riuscirà a recuperare tutto. Per esempio c’è una Messa a sei voci
dedicata a Santa Scolastica e intitolata Emicat meridies, che non si
riesce ad avere perché è nelle mani di una persona che non intende
renderla pubblica. Io ho donato tutti gli inediti in mio possesso,
molti dei quali ho copiato su indicazione di don Lorenzo prima che
l’originale fosse donato ai destinatari. Non escludo però che tra
le mie carte ci sia ancora qualcosa. Per esempio negli ultimi tempi
ho ritrovato un lavoro con un’indicazione precisa di Perosi:
«Questo mottetto l’ho scritto il 3 luglio del 1923 a Ponzano
Romano». In questo paesino c’era una piccola cantoria di uomini e
il parroco, approfittando della presenza di don Lorenzo, gli chiese
una piccola composizione. Lui la scrisse subito, ma si riservò di
scegliere il testo. Il titolo del pezzo, che io ho copiato
dall’originale, è Spe enim salvi, un richiamo alla lettera di san
Paolo ai romani, lo stesso con cui Benedetto XVI apre la sua
enciclica.
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