7 luglio 2016

Aldo Brienza e Campobasso

Di M. Concetta Bomba ocds

12 giugno 2009

fraimmacolato.wordpress.com


Profilo biografico di fra Immacolato che accompagna il lavoro di sistemazione delle “Lettere” curato dal prof. Giuseppe Biscotti e da p. Raffaele Amendolagine.

La casa è il luogo del rifugio, lo spazio che ci accoglie quando siamo ancora bisognosi di essere sostenuti, nutriti, amati. La casa è quel recinto di protezione dentro il quale veniamo alimentati per la vita: un’espansione di rapporti che si dipana dalle braccia familiari fino a creare la trama del nostro intimo bisogno di relazione.

La casa è quel punto di partenza dal quale si esce per divenire “cammino pellegrinante”, ricerca incessante di senso negli avvenimenti ricercati o imposti, nei volti amati o allontanati, nelle scelte effettuate o solo sognate. Realmente dalla propria casa ci si allontana per rintracciare quella Voce che spinge oltre le proprie certezze e che conduce, in ultima istanza, là dove non pensavamo di andare.

E si ritorna, sempre, nella propria casa, in quel centro di irraggiamento che apre e, poi, ricapitola in un gesto di unione con Chi finalmente si lascia incontrare.

La casa è stata per Aldo Brienza la sua dimora, il suo convento, la sua cella, il suo parlatorio, il suo confessionale, la sua mensa.

Nasce a Campobasso il 15 agosto del 1922. Vive con i genitori, sorelle e fratelli in un palazzo situato vicino alla stazione ferroviaria.

Fa in tempo a frequentare, ancora adolescente, solo il primo anno all’Istituto tecnico superiore.

Il 27 giugno 1938, durante una gita con la sua famiglia, improvvisamente, è colto da dolori fortissimi ad un piede, forse in seguito ad una puntura di insetto. Ha inizio, così, il suo lungo pellegrinare “immobile” nel suo letto che durerà 51 anni.


Gli viene diagnosticata una “osteomielite deformante alle gambe”, un male aggressivo che in poco tempo è in grado di estendere l’infezione ad entrambi gli arti, al bacino e alla colonna vertebrale. Oltre alle deformazioni ossee alle quali deve “abituarsi”, Aldo è chiamato a sopportare continui episodi febbrili con temperature elevate e dolori lancinanti. Scriverà un giorno: «Soffro, peno, ma so che il Signore è Dio, non desidero nulla, bramo solo piacere a Gesù, glorificarlo e vedere il suo regno in me, nelle anime che mi sono care e in tante, tutte le anime. Voglio compiere, vivere la Divina Volontà, rassomigliare il più possibile al mio Sposo Crocifisso». (L 600).

Svaniscono, all’improvviso, i propri progetti, sopra ogni altra cosa il desiderio di lasciare quella dimora paterna per entrare nella Certosa.

I suoi cari non li potrà mai abbandonare, né sarà mai abbandonato dalla sua famiglia. Ancora oggi, la sua stanza, quella cella nella quale, immobile, è vissuto fino al 13 aprile del 1989, è stata mantenuta così come Aldo l’aveva trasformata con il suo stare in perenne “movimento” verso chiunque desiderava incontrarlo.

E se un sogno svanisce, «scomparire nella bianca silente Certosa», un altro si impone, di notte, mentre dorme, quando i pensieri li si vorrebbe mettere a tacere e invece elaborano una nuova prospettiva di vita: di giorno legge testi di spiritualità carmelitana e di notte “sogna” il Carmelo.

Aldo sa dare al sogno la sua corretta interpretazione: lo chiama “visione”, ma nel senso di un “guardare” ciò che gli occhi del proprio cuore non sa ancora intravedere ed abbracciare.

Si mette in contatto con la Casa Generalizia dell’Ordine e chiede di divenire Terziario Carmelitano. Gli viene accordato e il 25 marzo del 1943, con una cerimonia in camera da letto presieduta dal vescovo di Campobasso, è rivestito dello Scapolare: entra, così, ufficialmente, a far parte dell’Ordine della Madonna del Carmine come carmelitano secolare.

Qualche anno dopo, l’11 maggio del 1948, otterrà, con indulto speciale, di poter appartenere al Primo Ordine pur rimanendo nella sua casa.

Ora noi conosciamo, dalle innumerevoli testimonianze di chi si è recato ai piedi del suo letto, la estrema disponibilità di fra Immacolato (è il nome da religioso) ad accogliere, la sua capacità di ascoltare con partecipazione e donare quelle parole attese, quel sostegno cercato, con un sorriso mai negato.

Esce pochissime volte: per ricoveri ospedalieri, per qualche votazione e tre volte per andare in pellegrinaggio a Loreto, con estremo disagio poiché, non potendo stare seduto su una sedia a rotelle, bisogna trasportarlo in barella.

Il suo apostolato, dunque, non può che svolgersi a casa, in mezzo alle faccende familiari, tra i ritmi dettati da una comunità non organizzata per seguire le prescrizioni della Regola dell’Ordine; gli avvenimenti che avvolgono e riscaldano fra Immacolato emergono da un vissuto comunitario che segue il naturale svolgimento della quotidianità, che ha come unica regola l’accogliere ciò che imprevedibilmente accade come una incarnazione continua, un manifestarsi inaspettato e gratuito del Dio della vita.

Aldo cerca il silenzio per poter sperimentare l’incontro con l’Amico nel dialogo contemplativo, e lo coltiva tra l’entrata e l’uscita dei suoi familiari dalla sua stanza, tra i momenti di “stasi” dall’affaccendarsi intorno a lui di coloro che ama, come se ogni volto della sua famiglia entrasse a portargli un riflesso della luce divina e lo lasciasse, poi, per qualche istante, da solo, ad alimentarsi del dono ricevuto: «Mi accorgo che solo la grazia del buon Dio… mi potrà far realizzare ciò che tanto desidero ed imploro dal Signore, che chiunque mi avvicini senta e veda in me Gesù e si allontani da me portando con sé squarci di paradiso». (L 171).

In questa stessa casa, oltre ai familiari e ai tanti visitatori, entra quotidianamente il suo amico, il suo confidente, il suo padre spirituale: don Michelino Fratianni.

È commovente leggere le lettere a lui indirizzate: nonostante si vedano e condividano lo stesso pane spezzato in quella stanza dell’offerta perenne, Aldo sente il bisogno di imprimere sulla carta le parole della “confidenza”, quelle che scaturiscono dal sentirsi sostenuti da una mano amica: «Ed ecco ciò che è avvenuto in me stamani durante la santa messa. Al momento che vi comunicavate con la santa ostia mi è parso di ricevere Gesù e poi non mi sono più visto, non vi ho più visto, vedevo solo Gesù che univa le nostre due anime e le fondeva in Lui. In Lui ci rendeva uno». (L 233).

Le numerosissime lettere che, finalmente, grazie al paziente lavoro del prof. Giuseppe Biscotti e di p. Raffaele, vengono ora messe a disposizione di chiunque voglia leggerle, sono la testimonianza di una vita “sgranata” per gli altri: risponde a chiunque gli chiede un consiglio spirituale; con la sua immolazione diviene esempio di consolazione per chi è chiamato, come lui, ad attraversare la via del Calvario. Sprona, sostiene, prega da quel letto di casa: diviene il perno di una catena orante, “l’altare vivente” sul quale arrivano le offerte e dal quale giunge ad ognuno la carezza di un’ostia di lode. «Se talvolta sente il cuore piangerle dentro in tumulto, quando sente il bisogno “di poggiare il suo stanco capo su una spalla amica e affettuosa” e vuole aprire il suo cuore nell’attesa di un’intima comprensione, venga a questo povero piccolo niente, che raccoglierà le sue lacrime, individuerà il bisogno del suo amore ed insieme cercheremo rifugio nel cuore del Dio Amore». (L 487).

Allora la casa, e non solo quella di Aldo Brienza, può divenire il luogo dove sperimentare la presenza dell’Amore attraverso il volto di chi lo incarna e accetta di divenire espansione di luce e di pace per i suoi cari: «Prendi Gesù la mia anima, serviti del mio corpo, stritola l’una e l’altro, disponi del mio dolore, della mia passione. Per Te Gesù, per le anime, per chi mi è caro, per chi mi appartiene». (L 551).

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