misterietradizioni.com
Nacque a Campobasso la notte del 3 dicembre 1718, alle ore 10, da Lucia de Socio legittima moglie del campiere Andrea di Zinno e su conforme licenza dell’Arciprete della Trinità, don Carlo Fasulo, fu battezzato nella parrocchia di S. Bartolomeo Apostolo dal canonico don Francesco Vaglia, il giorno stesso, prima che l’infante compisse 24 ore dalla nascita.
Gli furono imposti due nomi, Paolo, forse perché l’abitazione dei coniugi si trovava verso S. Paolo, e Saverio perché il 3 dicembre si festeggia S. Francesco Xaverio, l’apostolo delle indie. Non vi fu padrino e la funzione venne assolta dalla levatrice Teresa Piciocco.
30 agosto 2016
28 agosto 2016
Il santuario di Ercole a Campochiaro (Campobasso)
archeologicamolise.beniculturali.it
Il santuario italico che sorge in località Civitella, nel comune di Campochiaro, costituisce un centro cultuale, dedicato ad Ercole, di particolare importanza nel Sannio pentro.
Ubicato alle pendici del Matese, mostra una posizione di particolare interesse topografico in rapporto alle direttrici viarie che si incontrano nella piana di Boiano (il tratturo Pescasseroli-Candela, il tracciato minore che scende verso la costa adriatica raggiungendo Larino e quello che, scavalcando il Matese, arriva al versante campano e al Monte Cila) evidentemente connessa al suo ruolo di sede privilegiata di mercato e di scambi. L’area attesta una frequentazione a partire dal VII-VI secolo a.C. e la realizzazione nel IV secolo a.C. di una sistemazione su due terrazze, delimitate da mura in opera poligonale, su cui sono costruiti gli edifici e a cui si accede attraverso due ingressi (ad ovest e ad est). La terrazza inferiore è dominata da un lungo edificio porticato con prospetto scenografico aperto sulla spianata sottostante.
Agli inizi del III secolo a.C. il complesso viene distrutto da un violento terremoto e si procede quindi alla ricostruzione realizzando porticati lignei e realizzando interventi migliorativi della statica degli edifici.
Il santuario italico che sorge in località Civitella, nel comune di Campochiaro, costituisce un centro cultuale, dedicato ad Ercole, di particolare importanza nel Sannio pentro.
Ubicato alle pendici del Matese, mostra una posizione di particolare interesse topografico in rapporto alle direttrici viarie che si incontrano nella piana di Boiano (il tratturo Pescasseroli-Candela, il tracciato minore che scende verso la costa adriatica raggiungendo Larino e quello che, scavalcando il Matese, arriva al versante campano e al Monte Cila) evidentemente connessa al suo ruolo di sede privilegiata di mercato e di scambi. L’area attesta una frequentazione a partire dal VII-VI secolo a.C. e la realizzazione nel IV secolo a.C. di una sistemazione su due terrazze, delimitate da mura in opera poligonale, su cui sono costruiti gli edifici e a cui si accede attraverso due ingressi (ad ovest e ad est). La terrazza inferiore è dominata da un lungo edificio porticato con prospetto scenografico aperto sulla spianata sottostante.
Agli inizi del III secolo a.C. il complesso viene distrutto da un violento terremoto e si procede quindi alla ricostruzione realizzando porticati lignei e realizzando interventi migliorativi della statica degli edifici.
26 agosto 2016
La Cappella della Madonna della Neve a Ripalimosani (Campobasso)
ripalimosanionline.it
È ubicata nella parte occidentale dell’agro di Ripalimosani, in Contrada Quercigliole, ad oltre due chilometri di distanza dall’abitato, su di un colle all’altezza di metri 733 sul livello del mare.
La cappella è dedicata alla Madonna della Neve, (così chiamata secondo una pia leggenda che narra di una prodigiosa nevicata avvenuta a Roma sul colle Esquilino la notte del 5 agosto dell’anno 352. Il Papa Liberio, che quella notte avrebbe sognato la Vergine che gli indicava lo straordinario avvenimento, si recò sul posto e, resosi conto dell’avverarsi del sogno, ordinò che ivi fosse eretta una chiesa da dedicarsi a Santa Maria della Neve, l’attuale Santa Maria Maggiore).
Anticamente la chiesetta delle Quercigliole apparteneva all’Ordine di Malta. L’epoca della sua fondazione non è conosciuta ne trova fondamento nelle poche notizie scarse e frammentarie riportate in diversi libri. Di certo la costruzione viene accertata già nel 1651 comparendo in una planimetria dell’Atlante Capecelatro anche se risulta, rispetto all’ordinamento attuale, diversa nella composizione. Di elementare fattura, prevede nel prospetto un timpano mistilineo che poggia sulla struttura portante con un frontone interrotto ai lati poco dopo l’inizio e sormontato solo da una piccola, ma distintiva campanella.
Il portale è lineare con un architrave in pietra e una lunetta appena sopra che, protetta da una grata in ferro, rappresenta l’unico punto luce della facciata. Ai lati del portale corrono due colonne a rilievo, con base e fusto lineari. Dietro al frontone si eleva una base cilindrica dove poggia la cupola e si aprono gli altri punti luce. All’interno la chiesetta presenta una base a croce greca, i cui bracci sono delimitati da una struttura portante, formata da quattro archi chiusi a quadrato che sorregge la base cilindrica. Un altare maggiore è situato nell’abside dove una nicchia racchiude la statua della Madonna della Neve portata in processione la prima domenica di luglio.
Vi è un altro altare, di piccole dimensioni, situato alla destra dell’abside e sopra di esso un’altra nicchia dove è conservata la vera statua della Madonna della Neve, molto più piccola della prima. Una leggenda vuole che, la statua portata in processione fu fatta costruire perché era impossibile accompagnare l’altra fuori dalla chiesetta, in quanto, appena fuori, si metteva a nevicare. Due tele raffiguranti “La lapidazione di Santo Stefano” e “San Silvestro” sono poste lungo la parete della base cilindrica rispettivamente a destra e a sinistra.
Suggestiva è la visione di un piccolo crocifisso, posto tra le due tele, in una nicchia a forma rettangolare, incastrato tra due tiranti di ferro. Annesse alla chiesetta, una per lato, vi sono due cappelle destinate esclusivamente alla tumulazione, mentre nella parte posteriore sorgono le sagrestie e la casa del romito.
È ubicata nella parte occidentale dell’agro di Ripalimosani, in Contrada Quercigliole, ad oltre due chilometri di distanza dall’abitato, su di un colle all’altezza di metri 733 sul livello del mare.
La cappella è dedicata alla Madonna della Neve, (così chiamata secondo una pia leggenda che narra di una prodigiosa nevicata avvenuta a Roma sul colle Esquilino la notte del 5 agosto dell’anno 352. Il Papa Liberio, che quella notte avrebbe sognato la Vergine che gli indicava lo straordinario avvenimento, si recò sul posto e, resosi conto dell’avverarsi del sogno, ordinò che ivi fosse eretta una chiesa da dedicarsi a Santa Maria della Neve, l’attuale Santa Maria Maggiore).
Anticamente la chiesetta delle Quercigliole apparteneva all’Ordine di Malta. L’epoca della sua fondazione non è conosciuta ne trova fondamento nelle poche notizie scarse e frammentarie riportate in diversi libri. Di certo la costruzione viene accertata già nel 1651 comparendo in una planimetria dell’Atlante Capecelatro anche se risulta, rispetto all’ordinamento attuale, diversa nella composizione. Di elementare fattura, prevede nel prospetto un timpano mistilineo che poggia sulla struttura portante con un frontone interrotto ai lati poco dopo l’inizio e sormontato solo da una piccola, ma distintiva campanella.
Il portale è lineare con un architrave in pietra e una lunetta appena sopra che, protetta da una grata in ferro, rappresenta l’unico punto luce della facciata. Ai lati del portale corrono due colonne a rilievo, con base e fusto lineari. Dietro al frontone si eleva una base cilindrica dove poggia la cupola e si aprono gli altri punti luce. All’interno la chiesetta presenta una base a croce greca, i cui bracci sono delimitati da una struttura portante, formata da quattro archi chiusi a quadrato che sorregge la base cilindrica. Un altare maggiore è situato nell’abside dove una nicchia racchiude la statua della Madonna della Neve portata in processione la prima domenica di luglio.
Vi è un altro altare, di piccole dimensioni, situato alla destra dell’abside e sopra di esso un’altra nicchia dove è conservata la vera statua della Madonna della Neve, molto più piccola della prima. Una leggenda vuole che, la statua portata in processione fu fatta costruire perché era impossibile accompagnare l’altra fuori dalla chiesetta, in quanto, appena fuori, si metteva a nevicare. Due tele raffiguranti “La lapidazione di Santo Stefano” e “San Silvestro” sono poste lungo la parete della base cilindrica rispettivamente a destra e a sinistra.
Suggestiva è la visione di un piccolo crocifisso, posto tra le due tele, in una nicchia a forma rettangolare, incastrato tra due tiranti di ferro. Annesse alla chiesetta, una per lato, vi sono due cappelle destinate esclusivamente alla tumulazione, mentre nella parte posteriore sorgono le sagrestie e la casa del romito.
24 agosto 2016
Campobasso: la leggenda di Delicata Civerra
centrostoricocb.it
Nel 1504 Andrea de Capoa, feudatario di Campobasso, concesse ai suoi sudditi di costruire al di fuori delle mura, un Tempio alla Trinità, nacque così la Congrega dei Trinitari formata dai cittadini “ragguardevoli e per finanze e per stirpe” che erano arrivati da Napoli al seguito del nuovo signore. L’università fu subito scissa in due parti: i Trinitari e i Crociati, appartenenti alla confraternita storica dell’università. Le Confraternite erano in continua lotta per il predominio sulla città e così spesso si accendevano litigi e risse. Per mettere pace il 9 febbraio 1587 venne per la Quaresima a predicare il Cappuccino Padre Geronimo da Sorbo.
Fin qui la storia. Poi la leggenda...
Era il 1587 quando Delicata, una ragazza di 20 anni, di famiglia Crociata, fragile e bellissima si innamorò, ricambiata, di un giovane Trinitario: Fonzo Mastrangelo, “che sapeva ben maneggiare la spada, di bel garbo, forbito nella parola, uomo di studio” (si dice che conoscesse a memoria i versi di Dante e Petrarca che declamava alla sua donna).
Nel 1504 Andrea de Capoa, feudatario di Campobasso, concesse ai suoi sudditi di costruire al di fuori delle mura, un Tempio alla Trinità, nacque così la Congrega dei Trinitari formata dai cittadini “ragguardevoli e per finanze e per stirpe” che erano arrivati da Napoli al seguito del nuovo signore. L’università fu subito scissa in due parti: i Trinitari e i Crociati, appartenenti alla confraternita storica dell’università. Le Confraternite erano in continua lotta per il predominio sulla città e così spesso si accendevano litigi e risse. Per mettere pace il 9 febbraio 1587 venne per la Quaresima a predicare il Cappuccino Padre Geronimo da Sorbo.
Fin qui la storia. Poi la leggenda...
Era il 1587 quando Delicata, una ragazza di 20 anni, di famiglia Crociata, fragile e bellissima si innamorò, ricambiata, di un giovane Trinitario: Fonzo Mastrangelo, “che sapeva ben maneggiare la spada, di bel garbo, forbito nella parola, uomo di studio” (si dice che conoscesse a memoria i versi di Dante e Petrarca che declamava alla sua donna).
22 agosto 2016
Ma quale gnocco! Si chiama “cavato”: il “crazy diamond” della cucina molisana
7 luglio 2015
molisanissimo.it
No, chiamarli gnocchi era troppo banale. La gastronomia molisana non si accontenta e ha previsto qualcosa in più. Il tocco della mano esperta, che interviene sul prodotto che pare ormai finito, impastato con acqua, farina (e alle volte patate schiacciate), e lo rende unico nel suo genere. Il “cavato”, perché “rigirato” su sé stesso con un rapido movimento dell’indice a renderlo “cavo” all’interno.
Una volta preparati e lasciati riposare sotto una bella spolverata di farina, per evitare che si incollino tra di loro, i “cavati” sono pronti per il tuffo in abbondante acqua salata. Non serve prendere il tempo con l’orologio perché essendo una produzione completamente artigianale (non esistono pacchi preparati in commercio di “cavati” fatti a mano) non ci sono indicazioni in merito.
L’aiuto ci arriva da loro: quando i “cavati” si sentono “cotti” affiorano sulla superficie dell’acqua in bollore. Vengono pescati con una “schiumarola” e messi nel condimento che li attende. Che condimento? Beh, il must è un bel sugo con spuntature di maiale, che in Molise vengono dette “tracchiulelle”.
Per tradizione vengono preparati nei giorni di festa, come la domenica, ma consigliamo di assaggiarli anche il lunedì, il martedì, il mercoledì, il giovedì, il venerdì e il sabato. Pare che il brano “Shine on you crazy diamond” pubblicato dai Pink Floyd nel 1975, che si riteneva fosse stato dedicato a Syd Barret uscito dal gruppo nel 1968, fosse in realtà un omaggio al “cavato” molisano, il prezioso “crazy diamond” che stregò Gilmour e soci in una tappa gastronomica che fecero in Regione nel 1972.
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molisanissimo.it
No, chiamarli gnocchi era troppo banale. La gastronomia molisana non si accontenta e ha previsto qualcosa in più. Il tocco della mano esperta, che interviene sul prodotto che pare ormai finito, impastato con acqua, farina (e alle volte patate schiacciate), e lo rende unico nel suo genere. Il “cavato”, perché “rigirato” su sé stesso con un rapido movimento dell’indice a renderlo “cavo” all’interno.
Una volta preparati e lasciati riposare sotto una bella spolverata di farina, per evitare che si incollino tra di loro, i “cavati” sono pronti per il tuffo in abbondante acqua salata. Non serve prendere il tempo con l’orologio perché essendo una produzione completamente artigianale (non esistono pacchi preparati in commercio di “cavati” fatti a mano) non ci sono indicazioni in merito.
L’aiuto ci arriva da loro: quando i “cavati” si sentono “cotti” affiorano sulla superficie dell’acqua in bollore. Vengono pescati con una “schiumarola” e messi nel condimento che li attende. Che condimento? Beh, il must è un bel sugo con spuntature di maiale, che in Molise vengono dette “tracchiulelle”.
Per tradizione vengono preparati nei giorni di festa, come la domenica, ma consigliamo di assaggiarli anche il lunedì, il martedì, il mercoledì, il giovedì, il venerdì e il sabato. Pare che il brano “Shine on you crazy diamond” pubblicato dai Pink Floyd nel 1975, che si riteneva fosse stato dedicato a Syd Barret uscito dal gruppo nel 1968, fosse in realtà un omaggio al “cavato” molisano, il prezioso “crazy diamond” che stregò Gilmour e soci in una tappa gastronomica che fecero in Regione nel 1972.
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20 agosto 2016
18 agosto 2016
Il santuario sannitico di San Giovanni in Galdo (Campobasso)
Il santuario sorge sull’altura di Colle Rimontato, circa 1,50 Km a nordest dell’abitato di S. Giovanni in Galdo, un piccolo centro di origine medievale che domina la valle attraversata dal torrente Fiumarello, affluente del Tappino. Il centro è situato in una posizione favorevole rispetto alle vie di comunicazione con Larino, Monte Vairano e, attraverso la valle del Tappino, con il percorso tratturale Lucera-Casteldisangro.
L’area sacra è caratterizzata dalla presenza di un tempio di forma quasi quadrata, di due porticati ai lati e di un recinto rettangolare. Una frequentazione cultuale è attestata, dal materiale votivo, già alla fine del III-inizi del II secolo a.C., precedente quindi alla sistemazione monumentale che è da datare tra la fine del II e l’inizio del I secolo a.C. e continua fino al III secolo d.C. quando si avrà l’abbandono definitivo dell’area.
Il tempio, probabilmente prostilo e tetrastilo, è su alto podio. Ha il pronao, poco profondo e con una sola fila di colonne, ed una cella, di cui non si riesce a determinare l’esatta estensione, più ampia del pronao. La cella ha il pavimento in signino rosso decorato con piccole tessere bianche quadrate accostate per gli angoli, formanti nel campo un motivo punteggiato con disegno a losanghe e una fascia perimetrale di svastiche alternate a quadrati con una tessera al centro.
Il podio è decorato da modanature a gola rovescia includenti una fila centrale di dadi e si sviluppa sulla fronte e sui due lati accessibili al pubblico, mentre la parte posteriore è adibita allo scarico di materiali votivi. L’assenza di una gradinata di accesso lascia ipotizzare che il pronao fosse accessibile, probabilmente attraverso una scalinata lignea, solo in determinate occasioni e che le attività sacre si svolgessero nell’area antistante al tempio che restituisce le tracce di fondazione e un blocco, rozzamente squadrato, pertinenti all’altare.
I porticati si dispongono ai lati del tempio e sono divisi dal podio da uno stretto corridoio. Presentano quattro colonne doriche, non scanalate, sistemate su basi realizzate con grossi blocchi calcarei incassati nel terreno. Sono pavimentati con un semplice battuto di terra e terminano sul lato di fondo con un ambiente quadrato, forse lastricato, con accesso dal porticato.
L’area sacra è delimitata da un recinto rettangolare formato dal muro posteriore del podio, dalle pareti che chiudono i porticati laterali e da un filare di grossi blocchi non lavorati che sostiene il doppio terrazzo.
San Giovanni in Galdo - Il tempio
Località Colle Rimontato
San Giovanni in Galdo (CB)
Orario di apertura:
Area liberamente accessibile
16 agosto 2016
Il Molise e l’extravergine: a che punto siamo? Il parere di 10 autorevoli “addetti ai lavori”
Di Umberto Di Giacomo
19 maggio 2016
molisanissimo.it
L’olio extravergine di oliva molisano sembra aver compiuto, negli ultimi tempi, il salto di qualità. Naturalmente i traguardi raggiunti sono tappe intermedie di un percorso lungo che ha ancora ampi margini di miglioramento. A che punto siamo? Qual è la strada per continuare a migliorarsi?
Abbiamo posto questa domanda a diverse personalità, “addette ai lavori” nel complesso mondo dell’olio extravergine d’oliva. Ne è emerso un quadro della situazione produttiva molisana molto interessante: il sistema oleicolo regionale è nettamente in crescita, ma c’è forte necessità di costruire una “consapevolezza” maggiore tanto nei consumatori quanto nei produttori. C’è assoluto bisogno di aprirsi sempre di più all’esterno e divulgare correttamente cosa significa produrre olio autentico. È assolutamente necessario migliorarsi, costruire un percorso di crescita complessiva lungo e duraturo e comunicare al meglio le proprie caratteristiche e specificità.
(Questo articolo segue una panoramica sull’olio autentico molisano, pubblicata qualche giorno fa, e precede un terzo articolo, in cui interpelleremo alcuni tra i migliori produttori molisani).
19 maggio 2016
molisanissimo.it
L’olio extravergine di oliva molisano sembra aver compiuto, negli ultimi tempi, il salto di qualità. Naturalmente i traguardi raggiunti sono tappe intermedie di un percorso lungo che ha ancora ampi margini di miglioramento. A che punto siamo? Qual è la strada per continuare a migliorarsi?
Abbiamo posto questa domanda a diverse personalità, “addette ai lavori” nel complesso mondo dell’olio extravergine d’oliva. Ne è emerso un quadro della situazione produttiva molisana molto interessante: il sistema oleicolo regionale è nettamente in crescita, ma c’è forte necessità di costruire una “consapevolezza” maggiore tanto nei consumatori quanto nei produttori. C’è assoluto bisogno di aprirsi sempre di più all’esterno e divulgare correttamente cosa significa produrre olio autentico. È assolutamente necessario migliorarsi, costruire un percorso di crescita complessiva lungo e duraturo e comunicare al meglio le proprie caratteristiche e specificità.
(Questo articolo segue una panoramica sull’olio autentico molisano, pubblicata qualche giorno fa, e precede un terzo articolo, in cui interpelleremo alcuni tra i migliori produttori molisani).
14 agosto 2016
Campobasso a Bud Spencer
Campobasso ha voluto dedicare un dipinto murale a Carlo Pedersoli il noto e rimpianto attore napoletano conosciuto col nome d’arte Bud Spencer, morto a Roma il 27 giugno.
L’opera di Ferdinando Cioccia, ricorda un suo celebre film del 1973 “Anche gli angeli mangiano fagioli” e si trova in Via Ungaretti
Il dipinto vuole essere il tributo che la città di Campobasso dedica all’indimenticato eroe di tanti film che nella parte iniziale della sua carriera è stato un valente nuotatore e pallanuotista italiano.
12 agosto 2016
“Panem et circenses”, ma se i Romani avessero assaggiato quello di Matrice…
11 luglio 2015
molisanissimo.it
“Populus duas tantum res anxius optat: panem et circenses” scrisse Giovenale nelle sue “Satire”, circa 2000 anni fa. “Il popolo due sole cose ansiosamente desidera: pane e i giochi circensi”. Ma un accurato studio condotto da alcuni filologi dell’Università di Brema, intorno al 1950, ha confermato che se i romani avessero potuto assaggiare il molisano “Pane di Matrice” avrebbero lasciato da parte i giochi e si sarebbero concentrati solo su di esso. Purtroppo per loro, però, la produzione di queste pagnotte di grano duro è avvenuta in epoca più recente e a loro, dunque, non è restato altro che sfogarsi con belve e gladiatori al Colosseo. Noi oggi, invece, possiamo gustarlo.
Il “Pane di Matrice” viene prodotto con il grano duro “Senatore Cappelli“, una particolare qualità di grano dedicata al marchese abruzzese Raffaele Cappelli, senatore del Regno d’Italia, che, negli ultimi anni dell’Ottocento, aveva avviato le trasformazioni agrarie in Puglia e sostenuto il genetista Nazareno Strampelli nella sua attività di ricerca e miglioramento della produzione, mettendogli a disposizione campi sperimentali, laboratori ed altre risorse.
Dal 1966 il “Pane di Matrice” viene prodotto nel Panificio Petrella Laurino & C., nel piccolo centro (per l’appunto) di Matrice, in provincia di Campobasso. Il grano viene macinato a pietra, metodo che permette di ottenere un prodotto integrale e che resta ricco di proteine, vitamine del gruppo B, cellulosa e sali minerali. pane per sito
La produzione, oggi, avviene con tecniche moderne ma nel rispetto assoluto della tradizione. Ad esempio, alcune lievitatrici tecnologiche mantengono in vita un lievito madre nato oltre 100 anni fa, mai contaminato a livello chimico. Il pane di Matrice nasce a lievitazione naturale ed è adatto anche per le persone intolleranti ai lieviti, oltre ad avere proprietà nutritive tali da essere consigliato a persone diabetiche. I nutrizionisti, inoltre, consigliano fortemente di utilizzarlo come “scarpetta” nei piatti più sugosi.
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molisanissimo.it
“Populus duas tantum res anxius optat: panem et circenses” scrisse Giovenale nelle sue “Satire”, circa 2000 anni fa. “Il popolo due sole cose ansiosamente desidera: pane e i giochi circensi”. Ma un accurato studio condotto da alcuni filologi dell’Università di Brema, intorno al 1950, ha confermato che se i romani avessero potuto assaggiare il molisano “Pane di Matrice” avrebbero lasciato da parte i giochi e si sarebbero concentrati solo su di esso. Purtroppo per loro, però, la produzione di queste pagnotte di grano duro è avvenuta in epoca più recente e a loro, dunque, non è restato altro che sfogarsi con belve e gladiatori al Colosseo. Noi oggi, invece, possiamo gustarlo.
Il “Pane di Matrice” viene prodotto con il grano duro “Senatore Cappelli“, una particolare qualità di grano dedicata al marchese abruzzese Raffaele Cappelli, senatore del Regno d’Italia, che, negli ultimi anni dell’Ottocento, aveva avviato le trasformazioni agrarie in Puglia e sostenuto il genetista Nazareno Strampelli nella sua attività di ricerca e miglioramento della produzione, mettendogli a disposizione campi sperimentali, laboratori ed altre risorse.
Dal 1966 il “Pane di Matrice” viene prodotto nel Panificio Petrella Laurino & C., nel piccolo centro (per l’appunto) di Matrice, in provincia di Campobasso. Il grano viene macinato a pietra, metodo che permette di ottenere un prodotto integrale e che resta ricco di proteine, vitamine del gruppo B, cellulosa e sali minerali. pane per sito
La produzione, oggi, avviene con tecniche moderne ma nel rispetto assoluto della tradizione. Ad esempio, alcune lievitatrici tecnologiche mantengono in vita un lievito madre nato oltre 100 anni fa, mai contaminato a livello chimico. Il pane di Matrice nasce a lievitazione naturale ed è adatto anche per le persone intolleranti ai lieviti, oltre ad avere proprietà nutritive tali da essere consigliato a persone diabetiche. I nutrizionisti, inoltre, consigliano fortemente di utilizzarlo come “scarpetta” nei piatti più sugosi.
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10 agosto 2016
Il Museo Provinciale Sannitico di Campobasso
provincia.campobasso.it
Sorto nei decenni successivi all’Unità d’Italia, insieme alla Biblioteca Provinciale, il museo fu il risultato di una serie di donazioni con oggetti di varie epoche e, solo in alcuni casi, di provenienza nota. A organizzare il materiale raccolto fu chiamato un archeologo famoso, Antonio Sogliano, che lavorava a Pompei. Grazie al suo intervento la gran massa di materiale venne organizzata, inventariata ed esposta al pubblico secondo un criterio tipologico utilizzato all’epoca dappertutto.
Dai tempi della sua fondazione fino agli anni Novanta del XX secolo museo e biblioteca, pur rimanendo sempre uniti, hanno conosciuto varie sedi, per lo più localizzate nel centro storico di Campobasso. Dei due istituti a risentire maggiormente dei danni del tempo e dell'incuria umana è stato, però, il museo che ha subito spoliazioni notevoli; le più gravi risalgono al periodo della seconda guerra mondiale, quando il museo era ospitato nella sede dell’attuale Istituto Tecnico Commerciale “L. Pilla”: da esse furono sottratte tutte le antiche monete e alcuni oggetti considerati di particolare pregio.
Dopo un periodo di chiusura, durato circa un ventennio, il museo è stato riaperto al pubblico nel 1995 all'interno di Palazzo Mazzarotta, sito nel cuore della città antica.
Gli oggetti superstiti, attorno a 500, sono raggruppati ed esposti seguendo il criterio della loro originaria funzione. Sono stati individuati, così, quattro gruppi: “Le persone”, “La casa”, “Le attività”, “I culti”.
Tra gli oggetti più significativi, che coprono un ampio periodo cronologico che va dalla preistoria all’epoca romana più qualche oggetto del tardo medioevo, si ricordano i cinturoni di bronzo e le statuette votive, sia di bronzo che di pietra, le quali ben esemplificano la civiltà sannitica; in più sono presenti una cospicua collezione di lucerne di epoca romana, strumenti litici ed oggetti di bronzo delle epoche pre/protostoriche.
Una sala del museo ospita una esemplificazione dei risultati relativi al recente scavo delle necropoli di Campochiaro risalenti ad epoca longobarda; è ricostruita una sepoltura di cavaliere con cavallo e sono esposti alcuni tra gli oggetti più significativi ivi rinvenuti. Altre sale sono attrezzate per attività didattiche.
Sorto nei decenni successivi all’Unità d’Italia, insieme alla Biblioteca Provinciale, il museo fu il risultato di una serie di donazioni con oggetti di varie epoche e, solo in alcuni casi, di provenienza nota. A organizzare il materiale raccolto fu chiamato un archeologo famoso, Antonio Sogliano, che lavorava a Pompei. Grazie al suo intervento la gran massa di materiale venne organizzata, inventariata ed esposta al pubblico secondo un criterio tipologico utilizzato all’epoca dappertutto.
Dai tempi della sua fondazione fino agli anni Novanta del XX secolo museo e biblioteca, pur rimanendo sempre uniti, hanno conosciuto varie sedi, per lo più localizzate nel centro storico di Campobasso. Dei due istituti a risentire maggiormente dei danni del tempo e dell'incuria umana è stato, però, il museo che ha subito spoliazioni notevoli; le più gravi risalgono al periodo della seconda guerra mondiale, quando il museo era ospitato nella sede dell’attuale Istituto Tecnico Commerciale “L. Pilla”: da esse furono sottratte tutte le antiche monete e alcuni oggetti considerati di particolare pregio.
Dopo un periodo di chiusura, durato circa un ventennio, il museo è stato riaperto al pubblico nel 1995 all'interno di Palazzo Mazzarotta, sito nel cuore della città antica.
Gli oggetti superstiti, attorno a 500, sono raggruppati ed esposti seguendo il criterio della loro originaria funzione. Sono stati individuati, così, quattro gruppi: “Le persone”, “La casa”, “Le attività”, “I culti”.
Tra gli oggetti più significativi, che coprono un ampio periodo cronologico che va dalla preistoria all’epoca romana più qualche oggetto del tardo medioevo, si ricordano i cinturoni di bronzo e le statuette votive, sia di bronzo che di pietra, le quali ben esemplificano la civiltà sannitica; in più sono presenti una cospicua collezione di lucerne di epoca romana, strumenti litici ed oggetti di bronzo delle epoche pre/protostoriche.
Una sala del museo ospita una esemplificazione dei risultati relativi al recente scavo delle necropoli di Campochiaro risalenti ad epoca longobarda; è ricostruita una sepoltura di cavaliere con cavallo e sono esposti alcuni tra gli oggetti più significativi ivi rinvenuti. Altre sale sono attrezzate per attività didattiche.
8 agosto 2016
L’arcipelago delle Isole Tremiti: il confine est dell’Italia
lecinqueisole.it
L’arcipelago delle Isole Tremiti è formato da 5 isole: San Domino, San Nicola, Capraia, Cretaccio e Pianosa. Le uniche 2 abitate sono San Domino e San Nicola, dove risiedono complessivamente circa 400 persone.
San Domino è la più grande ed è anche quella che ospita la maggior parte delle attività ricettive: gli hotel, i villaggi e le discoteche le troverete solo a San Domino. È grande circa 3,5 km di larghezza per 5 km circa di lunghezza. L’isola è circondata da una folta pineta che degrada lentamente verso il mare, lungo una miriade di calette meravigliose raggiungibili a piedi. Navigando lungo la costa di San Domino troverete le 3 famose grotte delle Tremiti: Le Viole, Le Rondinelle e la grotta del Bue Marino, mentre camminando a piedi nella pineta giungerete al Colle dell’Eremita da dove potrete godere di un panorama meraviglioso sull’arcipelago.
Altra attrazione importante dell’isola sono le Berte Maggiori, qui chiamate Diomedee, uccelli tipici dell’arcipelago, le quali nelle notti senza luna accoppiandosi, piangono, emettendo un verso simile a quello di un neonato. Sono udibili dalla Punta Secca o in località del Faro.
L’arcipelago delle Isole Tremiti è formato da 5 isole: San Domino, San Nicola, Capraia, Cretaccio e Pianosa. Le uniche 2 abitate sono San Domino e San Nicola, dove risiedono complessivamente circa 400 persone.
San Domino è la più grande ed è anche quella che ospita la maggior parte delle attività ricettive: gli hotel, i villaggi e le discoteche le troverete solo a San Domino. È grande circa 3,5 km di larghezza per 5 km circa di lunghezza. L’isola è circondata da una folta pineta che degrada lentamente verso il mare, lungo una miriade di calette meravigliose raggiungibili a piedi. Navigando lungo la costa di San Domino troverete le 3 famose grotte delle Tremiti: Le Viole, Le Rondinelle e la grotta del Bue Marino, mentre camminando a piedi nella pineta giungerete al Colle dell’Eremita da dove potrete godere di un panorama meraviglioso sull’arcipelago.
Altra attrazione importante dell’isola sono le Berte Maggiori, qui chiamate Diomedee, uccelli tipici dell’arcipelago, le quali nelle notti senza luna accoppiandosi, piangono, emettendo un verso simile a quello di un neonato. Sono udibili dalla Punta Secca o in località del Faro.
7 agosto 2016
6 agosto 2016
La pace tra i Crociati e i Trinitari a Campobasso - Rievocazione storica
Rievocazione storica a Campobasso della pace nel 1500 tra Crociati e Trinitari
4 agosto 2016
Le ostie ripiene, la pasticceria molisana regala un prodotto di “sacra” dolcezza
17 luglio 2015
molisanissimo.it
Lontano dagli austeri altari delle Chiese l’ostia si sbizzarrisce e si dà appuntamento con alcuni amichetti: noci, mandorle, miele. Il risultato è un prodotto della pasticceria molisana assolutamente originale: le ostie ripiene. Due sottilissimi strati di ostia che racchiudono un composto bruno e croccante realizzato, di norma, con mandorle e noci spezzettate, miele, zucchero, scorza di arancia e, alle volte, un pizzico di cannella.
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Lontano dagli austeri altari delle Chiese l’ostia si sbizzarrisce e si dà appuntamento con alcuni amichetti: noci, mandorle, miele. Il risultato è un prodotto della pasticceria molisana assolutamente originale: le ostie ripiene. Due sottilissimi strati di ostia che racchiudono un composto bruno e croccante realizzato, di norma, con mandorle e noci spezzettate, miele, zucchero, scorza di arancia e, alle volte, un pizzico di cannella.
2 agosto 2016
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