Di Franco Valente
26 settembre 2010
francovalente.it
Il centro antico di Isernia si anima soprattutto in occasione dei suoi mercati e delle sue feste tradizionali ed in particolare il 29 settembre quando le vie ed i vicoli vengono invasi da pellegrini, suonatori di zampogne, bande musicali che seguono i portatori delle reliquie di S. Cosma e S. Damiano che si venerano sulla collina che sta dall’altra parte della valle del Carpino.
Oggi andare al santuario di San Cosma non costa più fatica. E poi, una volta arrivati, parcheggi su parcheggi possono accogliere centinaia di vetture nella speranza di ridurre la confusione che inevitabilmente ogni anno, il giorno della festa, ravviva tutta la sua collina. A San Cosma si viene ancora come si veniva una volta, anche da lontano, perché egli, insieme a San Damiano, non è santo solo degli isernini.
Quando si avvicinano gli ultimi giorni di settembre gruppi di pellegrini festanti arrivano dai territori vicini a ricordare, pur non conoscendo le loro imprese, che i due santi erano medici che hanno continuato a guarire ammalati anche diciassette secoli dopo il loro martirio. Una volta si veniva solo a piedi o al massimo a dorso di mulo, scendendo per l’erto sentiero che, partendo dallo slargo dei Cappuccini, passa davanti all’immagine di una matrona romana che, però, tutti chiamano “la Madonnella”.
E così certamente venne da Napoli Augustino Beltrano quando fu chiamato a completare gli affreschi di Agostino Pussé, verso la metà del Seicento, forse già con il cuore gonfio di gelosia per la moglie Dianella verso la quale rivolgeva troppe attenzioni il suo maestro Massimo Stanzione, il più grande degli artisti napoletani di quell’epoca. Una gelosia che, secondo alcuni, sarebbe finita in tragedia omicida qualche anno più tardi.
E mentre pensava anche alle sue cose, Augustino terminava uno dei più completi cicli di rappresentazioni delle vite e dei miracoli dei taumaturghi orientali venerati a Isernia come se quei medici santi avessero sempre operato su quella collina.
Sebbene posta ad una distanza sensibile dall’antica cinta urbana, la secolare chiesa dei santi Cosma e Damiano è uno degli elementi che caratterizzano la città di Isernia.
Essa è situata su una collinetta separata dal promontorio su cui sorge il nucleo abitato dal fiume Carpino e con la sua dominanza sul territorio circostante rappresenta un riferimento costante nel paesaggio.
È raggiungibile mediante una via scoscesa che si sviluppa dalla parte bassa della città, in prossimità della porta che si apre verso Venafro.
Poche e controverse sono le notizie storiche relative alla sua fondazione ed al suo sviluppo architettonico, ma dall’esame diretto del monumento si può ritenere con una certa sicurezza che la chiesa cristiana si sia sovrapposta ad un antico tempio pagano.
Il Ciarlanti, nella sua opera “Memorie Istoriche del Sannio” ritiene di poter affermare che il tempio originariamente fosse dedicato ad Osiride, figlio di Giove e Niobe; ma tale supposizione è da considerarsi del tutto priva di giustificazione e di fondamento.
Più interessante può ritenersi l’ipotesi di una preesistente venerazione per Priapo, divinità pagana protettrice dei giardini e della virilità, il cui culto, importato dalla Grecia, fu in uso presso i Romani.
A tale proposito appare utile la testimonianza di Sir Guglielmo Hamilton, ambasciatore britannico presso il re di Napoli, il quale, dopo una sua visita al santuario di San Cosma effettuata nel 1778 in occasione della festa del 27 settembre, ritenne opportuno depositare presso l’Accademia di. Londra una sua relazione sulle caratteristiche delle cerimonie popolari legate al culto dei due Santi.
Recentemente questa descrizione citata dal Masciotta, è stata pubblicata integralmente nel volume di Knight, “Il culto di Priapo”.
La relazione di Hamilton dimostra non solo la permanenza in Isernia di certe tradizioni pagane anche dopo lo sviluppo e la diffusione del cristianesimo, ma anzi conferma che spesso il culto cristiano si è sovrapposto a quello pagano senza rompere con le consuetudini popolari.
La stessa scelta dei Santi titolari della chiesa, Cosma e Damiano, appare significativa. Secondo la tradizione cristiana infatti i due furono medici che dedicarono tutte le loro conoscenze alla guarigione delle malattie dei poveri. Appare pertanto logico che ad essi potesse essere utilmente affidata anche la protezione della fecondità virile, della quale era precedentemente protettore Priapo.
Se questa ipotesi fosse esatta dovrebbe ritrovarsi sicuramente traccia del culto attraverso un’analisi archeologica dell’area del santuario.
Questi saggi sarebbero auspicabili anche per meglio comprendere lo sviluppo architettonico del complesso.
La chiesa esisteva sicuramente già prima del 1130, come afferma il Ciarlanti, ma le dimensioni del suo impianto planimetrico erano certamente ridotte rispetto a quelle attuali.
Dall’esame della pianta non è possibile comprendere se all’origine vi fosse un impianto rettangolare corrispondente alla base di un tempio.
Certamente però il monumento subì radicali trasformazioni nel 1523 in coincidenza dei lavori di restauro conclusi dal vescovo-cardinale Cristoforo Numaio, sotto il papato di Clemente VII.
Tanto è attestato dalla epigrafe che si legge al di sotto del quadro principale dei due titolari della basilica, sull’altare maggiore:
ECCLESIAM HANC SS COSMAE ET DAMIANO DICATAM A CLEMENTE VII CHRISTO / PHARO NUMAIO CARDINALI ARACOELI ISERNIAE EPISCOPO ADIUVANTE CATHEDRA / LI CAPITULO ANNO 1523 CONCESSAM ET A CLEMENTE VIII SACRIS HORU, SANCT / ORUM BRACHIS ANNO 1602 DITATAM E PRIVILEGIIS DECORATAM CANONICI PIO / RU, ELEEMOSUNIS AC EORUM SUMPTIBUS ET LABORE VETERI DEVASTATA A / FUNDAMENTIS TOTAM ET PICTURIS ORNATAM EREXERE ET A.D. / MDCXXXVIIII COMPLEVERE
Dalla predetta epigrafe ricaviamo pure che a seguito di vari terremoti, forse quelli del 1627, 1629 e 1638, il complesso venne di nuovo restaurato a spese del Capitolo della Cattedrale e che i lavori si conclusero nel 1639.
Al XVI secolo dovrebbe pure risalire la creazione del porticato antistante la facciata e la relativa gradinata esterna, rimaneggiata in questo secolo.
L’interno è formato da una sola aula rettangolare, ricoperta da un pregevole soffitto a cassettoni riccamente decorato e contenente nella parte centrale un ovale con l’immagine dei Santi.
Inconsueta è la forma dell’abside maggiore con la sua pianta notevolmente allungata. Questa particolarità potrebbe far supporre che originariamente la zona absidale costituisse la parte interdetta al popolo, riservata solo al clero, assolvendo alle funzioni di presbiterio.
La parte bassa dell’abside potrebbe risalire al XII-XIII secolo, ma le trasformazioni superiori non sono anteriori agli interventi del 1523.
Ne è testimonianza l’arco trionfale che separa la zona absidale dall’aula del popolo, essendo i pezzi che lo formano sovrapposti e non inseriti nella muratura preesistente.
Anche il carattere stilistico delle cornici delle imposte delle basi fanno collocare l’esecuzione dell’arco nel XVI secolo.
La sua realizzazione si rese necessaria per reggere l’imposta della nuova cupola voluta dal vescovo Numaio.
Cupola ed abside infatti si raccordano in una maniera piuttosto rozza ed anomala, chiara conseguenza di una sovrapposizione di forme architettoniche non coerenti tra loro, non solo dal punto di vista formale ma anche statico.
Anomala pure appare la collocazione della cappella che si apre sulla parete occidentale e ralizzata in forma di abside laterale. Essa si presenta arricchita da una composizione rinascimentale, probabilmente del XVII secolo, ma il suo impianto sicuramente è più antico.
La sua particolare forma potrebbe far ipotizzare la preesistenza di una chiesa molto più piccola la cui navata principale si sviluppava in senso trasversale a quella attuale. In tal caso la chiesa si sarebbe successivamente ampliata mediante lo sfondamento delle pareti laterali, fino a formare l’impianto che ancora la caratterizza.
Gli affreschi del coro, tutti realizzati intorno alla prima metà del XVII secolo, rappresentano alcuni dei martirii più noti tra quelli ordinati da Diocleziano, sotto il cui impero vissero pure i Santi Cosma e Damiano.
Il primo a sinistra rappresenta proprio i tre momenti più significativi del martirio di questi due: Il Giudizio, L’Esecuzione, La Liberazione delle Anime.
I tre episodi sono espressi in un unico scenario che è costituito dalla sala del trono di Diocleziano dalla quale, attraverso una loggia con balaustra, si gode la visione del mare e di una rupe. Nella scena a sinistra Diocleziano è seduto su un trono con decorazioni zoomorfiche. Al di sopra di esso vi è un baldacchino violaceo con tenda annodata. L’imperatore ha un copricapo alla orientale e lo scettro nella mano sinistra. Sotto il suo mantello rosso si nota la corazza con spalline a forma di testa di leone. Sulla destra sono i due Santi che indicano con una mano il cielo e con l’altra la terra, mentre sullo sfondo appaiono altri personaggi.
Sulla destra della rappresentazione, al di là della balaustrata, si apre una prospettiva sul mare e sullo sfondo è raffigurato il momento della esecuzione della sentenza. Vi si vedono i due Santi con tunica verde lanciati in mare con le mani legate da catene. In primo piano invece Cosma e Damiano vengono tirati fuori dall’acqua da un angelo in volo, con tunica bianca e mantello rosso, che lascia cadere le catene spezzate.
Un secondo quadro rappresenta la esecuzione di altri martirii ed in questo caso la scena è ambientata all’esterno del palazzo di Diocleziano, su una pubblica piazza. Si riconosce sulla sinistra un tempietto circolare con una divinità pagana all’interno, mentre sulla destra vi è il palazzo dell’imperatore. Questi, seduto su un balcone con balaustra, assiste alla scena reggendo lo scettro nella mano sinistra.
In primo piano invece la scena della esecuzione con i soldati che reggono gli attrezzi del martirio mentre a terra si vedono i corpi di due personaggi. Al centro due santi che pregano mentre divampano le fiamme del rogo. A destra un soldato a cavallo. Il popolo assiste da vicino alla scena sotto il controllo dei soldati. Sullo sfondo, dietro una serie di lance, si intravede un paesaggio montano.
Sia questi che gli altri affreschi, ed in particolar modo quelli della cupola, si trovano in pessime condizioni soprattutto a seguito dei lavori di consolidamento effettuati al monumento in totale dispregio di ogni regola del restauro. Pure destinato ad una triste fine è il pregevolissimo soffitto a cassettoni se non si porrà rimedio entro beve tempo ai suoi mali.
Analoghi mali, ma dal punto di vista paesistico ed urbanistico, sta subendo l’intera collina di S. Cosma dove il millenario attaccamento popolare, espresso anche dalle genti dei territori limitrofi, viene oggi mortificato da interventi di uno squallore avvilente.
Lo scenario naturale negli ultimi venti anni è stato completamente ed irreversibilmente corrotto dall’inutile, orribile, costoso e spettrale svincolo della nuova superstrada, frutto concreto di una fantasia megalomane, al cospetto del quale la cava di pietre che sta sullo sfondo, e che ha eliminato una intera collina, quasi scompare.
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