12 novembre 2016

Amedeo Trivisonno: il “pittore degli Angeli”

Campobasso, 1904 - Firenze, 1995

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Dopo il diploma in belle arti conseguito a Roma, si specializza in pittura a Roma e a Firenze (1919-24). Nella capitale prima e a Firenze poi, è particolarmente affascinato dall’arte dei massimi esponenti del Rinascimento, Michelangelo, Raffaello, Tiziano, Tintoretto, che studia con passione, non limitandosi all’aspetto formale della loro espressione artistica, ma cercando di penetrare nelle motivazioni profonde della loro arte. Rimarrà, da questo periodo, intimamente legato alla concezione classica della pittura.

La difficoltà di sistemazione nel capoluogo toscano lo riconduce a Campobasso, dove comincia subito l’attività di pittore, decoratore e affrescatore, molto richiesto soprattutto per i soggetti sacri.
Nel 1927 sposa Maria Rosaria Barletta, trasferendosi a Isernia per qualche tempo. Ritorna poi a Campobasso e a Roma, dove ha uno studio e da dove si sposta per affrescare le chiese delle vicinanze.

Perduta una figlia, decide di tornare a Campobasso, dove continua a lavorare senza sosta ad opere monumentali, come gli affreschi della Cattedrale, ai quali lavora dal 1935 al 1938, tranne la parentesi di Napoli, dove l’amico Emilio Notte lo vuole suo assistente alla cattedra di affresco all’Accademia di Belle Arti di Napoli nel 1936-37.

Rientra nella città nativa, dove inizia la carriera di docente di materie artistiche nelle scuole superiori. Lo scoppio della seconda guerra mondiale limita l’espansione fuori regione dell’attività pittorica di Trivisonno, che dopo il 1945 soggiorna in Liguria e Toscana lavorando intensamente.

Spinto da amici e da estimatori, allestisce a Milano, nel ’46 e nel ’47, due personali che gli valgono buoni riconoscimenti di critica e di pubblico. Tornato nel Molise, riprende l’insegnamento, continua a dipingere, finché, nel ‘52, ottiene l’incarico di insegnare materie artistiche al Cairo, nella scuola d’arte “Leonardo da Vinci”. In Egitto vive e lavora per quattordici anni, sedimentando le più varie esperienze. Partecipa alla mostra italo-egiziana (1952), alla Biennale di Alessandria d’Egitto (1956), allestisce una personale promossa dalla Società Dante Alighieri (1957) e, lo stesso anno, organizza un’altra personale a Firenze, città in cui decide di stabilirsi, una volta rientrato in Italia.


Pur rimanendo spiritualmente legato alla sua terra, ne fugge via perché “lì regna l’oblio e l’indifferenza”. In una lettera del 26 dicembre 1976 indirizzata a padre Eduardo Di Iorio egli rimprovera al Molise una certa freddezza verso i suoi figli, costringendoli ad emigrare: “Terra nascosta agli occhi dei turisti e delle persone di cultura. Quando fo qualche visita io stesso sento lo sconforto per questa solitudine”. Eppure, Trivisonno è stato per il Molise un buon ambasciatore, apprezzato in Italia e all’estero. Le sue opere, che gli hanno valso l’appellativo di “pittore degli Angeli”, sono infatti sparse un pò ovunque, e la sua pittura rappresenta un esempio singolare di equilibrio formale e contenutistico perfettamente armonico.

Difatti, se sulla sua formazione hanno influito suggestioni di diversa provenienza, da quelle medievali e barocche all’arte di De Chirico, alla lezione di Marcello Scarano, di Emilio Notte, all’arte egiziana, l’impronta duratura e decisiva, sicuramente neoclassica, gli viene dall’intima condivisione del modello rinascimentale.

Rimasto al di fuori delle correnti successive all’impressionismo, non ha voluto piegarsi alle mode dell’arte contemporanea, convinto del ruolo fondamentale del disegno e della pittura come linguaggio che “parla al popolo”. Il pittore, dunque, è il narratore che, provvisto di “ardore, di contenuti, e di abilità”, dialoga con la gente umile attraverso l’opera d’arte, ove l’immagine, oltre a suscitare emozioni, evoca un passato ideale, fa meditare sulla verità profonda del tema rappresentato.

Nel suo lungo e pregevole percorso artistico è sempre rimasto fedele ad un progetto di arte che non fosse, perciò, solo fine a se stessa, ma avesse valore didattico, e pertanto di chiara lettura, sì da coinvolgere emotivamente lo spettatore ed avvicinarlo al passato.

Coerentemente a tale concezione dell’arte, le sue opere non si discostano mai da esiti formalmente classici, da rappresentazioni plastiche di grande effetto, realizzate in massima parte con la tecnica dell’affresco, in cui alla padronanza formale corrispondono moduli compositivi capaci di esprimere con immediatezza l’intento dell’artista.

Moltissime le chiese che ospitano soprattutto suoi affreschi, tra cui: chiesa di Pollutri (1926), cattedrale di Isernia (1927-28), chiesa di Indiprete (1929), chiesa di Antrodoco (Rieti, 1931), chiesa del Castello di Arpino, chiesa di Sant’Elia a Pianisi, chiesa della Maddalena a Civitavecchia (1931), cattedrale di Campobasso (1933,34,37), chiesa di Sassinoro (1934), chiesa di San Giovanni Battista a Castel di Sangro (andata distrutta da un bombardamento americano del ’43), chiesa di Colle D’Anchise (1936), cappella del Convitto nazionale Mario Pagano di Campobasso (1936), chiesa di Serracapriola (1943), chiesa di S. Maria Maggiore a Campobasso (1945-46), chiesa di Oratino (1947), chiesa di S. Filippo Neri di Benevento (1948), chiese di Cantalupo, San Giovanni in Galdo e di Baranello (1949-50), chiesa di Venafro (1950), chiesa di Cantalupo (1953).

Del 1958 sono le tre grandi pitture (52 mq) della chiesa cattedrale copta del Cairo e del ’60 le pitture dell’abside (86 mq) della chiesa dei Comboniani al Cairo. Segue, nel ’63, la grande fatica dell’affresco di ben 100 mq. della chiesa dei Gesuiti, in stile copto, che la critica ha definito “bizantino nuovo”. Le pitture del periodo egiziano sono state illustrate su L’Osservatore Romano.

Una volta rientrato in Italia, mostra di preferire la tecnica mista, che lo interessa “per rendere più belli e resistenti i materiali usati”, e continua a dipingere per i luoghi di culto (Verona, Milano, Sepino, Castelpetroso), ma, parallelamente, lavora al cavalletto, e sono paesaggi, composizioni, figure, nature morte, ritratti, quasi tutti appartenenti a collezioni private ed eseguiti nel periodo egiziano e fiorentino, oltre che in quello molisano.

Le opere da cavalletto rivelano un Trivisonno sensibile alle suggestioni dell’arte figurativa italiana a lui contemporanea e attento interprete del “dipanarsi della vita familiare e sociale durante quasi un secolo”. N. Pietravalle si è occupata a più riprese, sulla stampa locale e nazionale, dell’opera di Trivisonno, e interventi critici si devono a M. Fagioli e L. Caramel.

Ad avviare un discorso organico sulla sua personalità umana ed artistica, è giunta nel 1992 una corposa monografia, “Sognando il Rinascimento”, curata da Corrado Carano, concepita come compendio di una esistenza interamente vissuta all’insegna dell’arte.

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