26 settembre 2016

I Misteri di Campobasso

Di Aurelio Molè

10 settembre 2014

rivista.cittanuova.it


L’aria è tersa, il cielo limpido e azzurro, il sole chiaro. La città è piena, colorata, festosa. Lungo i cigli delle strade la calca è così fitta che a fatica siamo riusciti ad entrare nel portone del Palazzo Maria Assunta che ospita il ristorante Miseria e nobiltà nel centro storico di Campobasso.
Un leggero venticello mitiga la temperatura, siamo in estate, che sfiora i 24 gradi. Una frescura gradevole, eccessivamente caldo per i locali.

Saliamo al secondo piano, ad un’altezza superiore ai dieci metri. Proviamo, ma è troppo alto per scattare fotografie. Scendiamo veloci e ci affacciamo alla finestra del primo piano. Il fotografo si allunga sulla punta dei piedi, si piega di lato, si distende oltre la balaustra per cercare l’inquadratura migliore. La luce del mattino è buona e “a favore”, cioè proviene da dietro l’obiettivo.

La visione

Ecco, improvvisa, “la visione”. Sotto di noi, sulla strada, scivolano i Misteri come su un filo d’olio che li tiene in equilibrio senza cadere: sembra quasi che la fiumana di gente li sostenga e li trasporti e non siano loro a farsi largo tra le ali della folla.
Spostiamo a quattro mani un vaso rettangolare con una pianta grassa che ostacola la visuale quando avviene il “miracolo”. Proprio davanti ai nostri nasi, a un metro di distanza, un ingegno d’un tratto si ferma. È quello dell’Assunta. La Vergine Maria ci guarda e sorride sospesa tra le nuvole insieme a cinque angeli birichini che fluttuano nell’aria come Perseo con i suoi sandali alati. Ai piedi della macchina vi è un sepolcro scoperto con un altro angelo seduto a lato.
Siamo a sei metri d’altezza. Federica, la Madonna, ha dieci anni, sorride e si sta divertendo un mondo. L’intervista avviene così nel vuoto, dopo l’improvvisa apparizione. Il vociare d’intorno si attenua fino a dissolversi. L’aria diventa, come dice Petrarca, «aere sacro, sereno, Ove Amor co’ begli occhi il cor m’aperse».

L’intervista volante

«Non è stancante – dice, sorseggiando un po’ di acqua minerale –, mi piace ed è come un gioco». Fanno cenni d’assenso anche i due angeli, uno con la barba, Samuele, di sei anni, anche se per un attimo mi viene il dubbio sia Gesù perché non si è mai visto un angelo barbuto, e Vanessa di otto anni che fluttuano, oscillano, si librano leggeri nell’àere.
Poi di colpo un “capo-mistero”, detto capurale, batte sullo scranno che sostiene l’ingegno un bastone a strisce bianco e nero e si sente, gridato ad alta voce: «Un, ddu e tre... scannétte allérte!». Un, due e tre, alzate i cavalletti! Così l’ingegno dell’Assunta, che pesa 484 chili, può ripartire trainato da 16 portatori.
Ci sfila davanti agli occhi come se la Madonna e i suoi angeli davvero volassero. È uno spettacolo emozionante che mi ricorda la scena più prosaica del film Blues brothers, quando la suora Mary Stigmata, detta “la pinguina” si infila fluttuando a un palmo da terra davanti agli esterrefatti John Belushi e Dan Aykroyd.

Abramo e il diavolo

Poco prima era stata la volta di Abramo dalla folta barba bianca, a cui, come in un fermo immagine cinematografico, un angelo blocca la mano nell’atto di colpire il figlio Isacco con un coltello azzurro. Una pecorella, con i nastri blu e rossi, guarda smarrita. Forse perché immagina, ricordando il racconto biblico, che dopo ci sarà il banchetto a sue spese.
Durante la vestizione in via Trento al Museo dei Misteri che preede la sfilata, Antonio Santella, in arte Abramo, ci aveva detto: «Da 50 anni sono impegnato con i Misteri. Per tre anni ho interpretato il diavolo, per quattro anni il capo squadra de La Maddalena e poi per 43 anni Abramo». Di fatto un contratto a tempo indeterminato. «Per me – aggiunge – è una tradizione che facciamo per amore. Se non lo facciamo noi chi lo farebbe?». Passa e lo saluta monsignor Giancarlo Bregantini, arcivescovo di Campobasso, che gli dice: «Ogni giorno una barba sempre più bella». Ma il protagonista assoluto nell’immaginazione popolare, nei manifesti cittadini, nelle magliette da souvenir, è Italo Stivaletti dagli occhi glauchi: «Da 27 anni faccio il diavolo; da piccolo, però, facevo l’angelo». Comincia la Messa mattutina e il “diavolo” si fa il segno della croce. In fondo è un buon diavolo.

Paolo Saverio Di Zinno

Alcuni indizi disseminati per il centro storico ci forniscono le prime tracce per capire i Misteri di Campobasso. Proseguendo in discesa per via di Sant’Antonio Abate, al civico 114, si legge su una bianca targa commemorativa: «Qui nacque, il 3 dicembre del 1718, Paolo Saverio Di Zinno, scultore d’arte sacra. Nella umile bottega fra metalli e fuoco nel tormento creativo ideò i geniali Misteri levando al cielo e angeli». Delle informazioni fornite dalla marmorea targa emerge una sola notizia fondamentale, anzi un nome. Il resto, probabilmente, non corrisponde al vero. Non era la sua casa natale, ma un immobile ereditato dal matrimonio.

Non forgiò da solo i Misteri, ma in quel luogo verosimilmente realizzò i modellini in scala ridotta con delle statue di creta per i committenti. Fatto sta che il nome segnalato è l’uomo della svolta. Paolo Saverio Di Zinno, nel 1737, a 19 anni, si trasferisce a Napoli per cinque anni per imparare l’arte dello scultore. Carlo III di Borbone, a cui Campobasso appartiene, è re di Napoli, dal 1734. Qui, in piena epoca di virtuosismi baroccheggianti, il Di Zinno ammirò le macchine da festa dei cerimoniali portate a spalla di cui fu spettatore in occasione del matrimonio del re Carlo di Borbone con Maria Amalia di Sassonia del 1738.

Tornato in città, il clima è cambiato. Nel 1742 Campobasso si libera dal giogo feudale e le Confraternite conquistano sempre più potere, orientando le scelte della vita civile. La matrice contadina declina e nascono nuovi mestieri legati alla lavorazione del ferro e delle candele. L’economia decolla e si desidera dare una forma stabile alla festa del Corpus Domini.

Le statue di Santa Maria della Croce

Voltando da via Sant’Antonio Abate sull’angusta via Santa Maria della Croce, scopriamo il mistero dei Misteri. L’omonima chiesa, dalle pareti bianche e lapislazzuli, ospitava la confraternita più antica, quella dei Crociati. La città è disseminata di una trentina di statue lignee del Di Zinno e all’interno di Santa Maria della Croce ce ne sono alcune.

«Le statue dell’Immacolata e di san Giovanni Battista – spiega il professore Andrea Damiano – non sono rigide, sono come un fermo immagine che cristallizza un movimento. Il vento muove il manto della Madonna, san Giovanni sta per compiere un passo. Si nota una teatralità, l’uso un’anticipazione dei Misteri».

Il Di Zinno trasporta la sua arte scultorea nelle macchine da festa. L’attenzione per lo studio dei panneggi delle statue diventa l’ispirazione per i costumi, l’analisi delle pose per la recitazione dei figuranti gli effetti plastici per la scena dell’ingegno.

Ogni macchina rappresenta una scena sacra. Il palcoscenico è un palco di legno sostenuto dai portatori. Al centro una struttura di ferro e acciaio che si sviluppa in alto come un albero che ospita i figuranti, gli attori, quasi tutti bambini, sui rami della struttura. Lo scultore Di Zinno realizza così i Misteri come oggi li conosciamo per fissare per sempre il racconto della festa.

Si parla di 24 ingegni, di cui sei non passarono il collaudo. Altri sei furono distrutti dal terremoto del 1805. Ai dodici rimasti si aggiunse il Mistero del Ss. Cuore di Gesù nel 1959. Sono progettati a misura delle strade del centro storico di Campobasso, il teatro naturale dove dalla metà del Settecento sfilano. «L’altezza e la larghezza delle macchine – scrive Valeria Cocozza nel libro Un, ddu, tre… scannétte allérte – sono perfettamente calzanti con gli spazi del centro storico in un connubio tra fantasia e realtà, tra passato e presente». Un’opera fantasmagorica e geniale, ideata dal Di Zinno, e realizzata con le botteghe dei fabbri che erano in via Ferrari, l’ultimo tratto del percorso dei Misteri nel borgo antico.

Antico e moderno

Sfilano i Misteri in via Camillo Benso Conte di Cavour davanti alla casa circondariale costruita nel primo decennio dell’Ottocento e tuttora in uso. L’ordine è sempre lo stesso: Sant’Isidoro, San Crispino, San Gennaro, Abramo, Maria Maddalena, Sant’Antonio Abate, l’Immacolata Concezione, San Leonardo, San Rocco, l’Assunta, San Michele, San Nicola e il Ss. Cuore di Gesù.

Tra un ingegno e l’altro si alternano cinque bande musicali che ripetono sempre la stessa musica, il Mosè di Rossini. È la colonna sonora che da il ritmo alla sfilata e fa da contrappunto musicale tra un ingegno e l’altro. In fondo è lo stesso principio del racconto cinematografico che alterna immagini, parole, suoni e musica. L’evoluzione non esiste solo per le scienze: la mente umana crea sempre delle nuove sintesi di qualcosa che già esisteva e ora può reinventare, mescolando tecnica, scienza, idee, immaginazione.

Il Di Zinno immette in nuce nella sfilata del Corpus Domini l’antico e il moderno dei mezzi di comunicazione. La folla, gli sguardi, gli ingegni, gli attori, gli spettatori, le grida, la musica delle fanfare, il vociare appartengono al passato che continua nel presente: il teatro, le sacre rappresentazioni, il cinema, la televisione.

Il fatto, poi, che i personaggi sono reali, la possibilità di interagire, parlare con loro, offrire acqua e caramelle ai bambini, crea una sorta di interattività per una reciprocità reale, un moderno che guarda al futuro, che restituisce all’istante l’interazione, la reciprocità, il dare e il ricevere, l’attivo e il passivo, l’essere ascoltatori e protagonisti allo stesso tempo: folla e personaggio, attore e spettatore in un circuito emotivo in cui si annullano i ruoli.

L’osservatore non resta all’esterno, non guarda soltanto, riesce a vedere, a farsi coinvolgere e capire con il cuore. In questo senso è il pubblico che sorregge i bambini, li incoraggia, li applaude, li sostiene sullo sfondo azzurro del cielo e colorato di palazzi. La sfilata comunica identità, cultura, storia di Campobasso attraverso un puro divertissement gioioso, una festa a cui si partecipa volentieri senza dimenticare le radici di questa festa.

Radici

«Mettendo insieme folklore e spiritualità – ci spiega Giancarlo Bregantini, arcivescovo di Campobasso –, la città si identifica perché i Misteri altro non sono che il desiderio di dare alla città la forza travolgente dell’Eucaristia attraverso le realtà quotidiane della vita». Da tre anni, in parallelo alla sfilata degli ingegni, sono stati innestati degli elementi nuovi: una tenda per l’adorazione, una tenda per il sacramento della riconciliazione e un gazebo con una mensa per i poveri che distribuisce pasti gratis per i migliaia di ambulanti immigrati che arrivano in città con le loro bancarelle. «È il tema perenne – incalza l’arcivescovo – di Madre Teresa di Calcutta. Se adoro Gesù nel segno eucaristico, sarò anche capace di riconoscerlo nel volto sfigurato dei poveri». Per questo è stata istituita la “Casa degli angeli-Papa Francesco” con cinque servizi alla città: la mensa quotidiana, le docce per l’igiene, uno sportello di assistenza giuridica, un emporio solidale e due appartamenti per accogliere le famiglie che hanno ricevuto uno sfratto. «Messa e mensa, Eucaristia adorata e spezzata».

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